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27 aprile 2024

Treviso

DENTRO LA TESTA (E LA VITA) DI UN ULTRAS

Arriva nei cinema Secondo tempo, primo film di Fabio Bastianello, regista di Pordenone che ha studiato a Bassano del Grappa, con Olmi

| Emanuela Da Ros |

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| Emanuela Da Ros |

DENTRO LA TESTA (E LA VITA) DI UN ULTRAS


Roma – Mentre mi (ri)chiama (sono giorni che lo inseguo al cellulare), paga un tassista romano (- Accetta carte di credito?), entra in hotel, chiede conferma della prenotazione, riceve dei messaggi, trascina un trolley, raggiunge la sua stanza, respira, e a me verrebbe da ricordargli che, in quanto maschio, non è multitasking e quindi dovrebbe fare una cosa alla volta. Ma Fabio Bastianello, il mio interlocutore, subito dopo l’iperonimo di maschio, è un cineasta che sta per proiettare nelle sale italiane il suo primo film: “Secondo tempo”. E quindi passo ad altro.

Fabio, perché sei a Roma?

Devo portare il film alla censura, risponde spiegandomi i piccoli paradossali ostacoli burocratici che ha dovuto superare la sua pellicola. Una pellicola particolare, peraltro.

Perché – va precisato - Fabio Bastianello, regista di Pordenone (anzi di Dargago di Budoia: il nome non è troppo lontano dalla marca trevigiana, no?) sta per proiettare “l’unico film al mondo girato in un unico piano sequenza”, cioè attraverso una sola inquadratura, che nel caso del film di Bastianello dura 105 minuti.

Dal 23 aprile, infatti, in 20 cinema selezionati sarà possibile vedere Secondo tempo, un film sulla tifoseria e sulla violenza negli stadi a cui Bastianello lavora da un anno e mezzo. E che ha avuto l’onore e l’onore di essere presentato al festival di Cannes.

Prima di parlare un po’ di Secondo tempo, occorre dire che il regista, Fabio Bastianello, ha un legame diretto con la nostra realtà. Pur essendo nato a Milano, 38 anni fa, Bastianello ha vissuto a Budoia, ha frequentato l’istituto d’arte di Cordenons e poi la scuola di cinematografia di Bassano del Grappa, voluta da Ermanno Olmi.

Dopo i diplomi, Bastianello si è trasferito a Milano. Ha avuto un figlio, Lorenzo (che fa l’asilo), da Roberta (la sua compagna) e ha nutrito la sua grande passione. Cioè il cinema, appunto, fondando una propria società cinematografica, la Clicstudios. Un anno e mezzo fa ha scritto il soggetto di Secondo Tempo (costato circa 360 mila euro); ha coinvolto altri 5 autori per elaborarne la sceneggiatura (di 650 pagine); è andato in banca a chiedere un finanziamento (“per cui sarò indebitato per i prossimi 10 anni”) e poi ha realizzato il primo film con quell’unico piano-sequenza che Hichcock avrebbe voluto inaugurare se le tecniche dell’epoca glielo avessero consentito.

Fabio, di che parla il tuo film?

E’ la storia di un infiltrato. In una curva. All’interno di uno stadio. Il film parla di violenza; sonda un mondo che in realtà non si conosce. Ma che è in grado di scatenare odi e reazioni ancestrali.

Tu sei un tifoso?

Sì, ma non un tifoso esacerbato.

Per quale squadra?


Dai, non lo dico.

Perché pensi che un film sulla violenza negli stadi possa interessare il pubblico?

Il film propone lo spaccato di un mondo che non si conosce, che si intuisce, si avverte, ma è ignoto alla maggior parte della gente. Se una persona ha la curiosità di conoscere questo fonema di vita e di cronaca, il film qualche indicazione la dà.

Gli attori da dove provengono?

Quasi tutti dal cabaret. E dal teatro. Ho scelto attori comici perché sono quelli più idonei a interpretare ruoli brutali, intensamente drammatici. Hanno una predisposizione all’improvvisazione. Che è stata un elemento indispensabile nel film. Secondo tempo è stato preparato in un anno e mezzo e gli attori hanno provato due mesi per girare, senza sosta, senza pause, senza replay, 105 minuti di ripresa continua. Il mio film è una sorta di esagramma. E’ una speie di concerto eseguito attraverso sei storie-spartito diverse. E’ stato girato presso lo stadio Olimpico di Torino, con la presenza di circa trecento veri ultras chiamati ad affiancare un cast di trenta attori e cabarettisti.

Obiettivo della storia?

La volontà di affrontare la tematica della violenza nel mondo della curva attraverso il racconto diretto dei protagonisti: gli ultras e le forze dell'ordine. Il personaggio principale, un poliziotto infiltrato che sta svolgendo un'indagine a carico di un gruppo di tifosi, vive la propria storia (facendo luce contemporaneamente su altre cinque vicende) viaggiando attraverso le dinamiche che animano la curva e le scintille che scatenano la violenza durante una partita di calcio, in questo caso un errore arbitrale allo scadere del secondo tempo (da cui il titolo del film).

In campo si fronteggiano due squadre fittizie (composte da giocatori professionisti) volutamente prive di nome e riferimenti a squadre realmente militanti nei campionati italiani: i blu, che giocano in casa, e i granata, nella cui tifoseria si muovono i personaggi principali.

Sei soddisfatto del film?

Sì, al 98 per cento. Il film è inusuale rispetto ai canoni cinematografici tradizionali ma è nella diversità che sta la sua forza. Le scelte dell'unico piano sequenza e del cast composto anche da veri ultras sono fattori che concorrono a creare un risultato bordeline, una via di mezzo tra il documentario e il lungometraggio. Per la realizzazione dell'unico ciak di 105 minuti, la casa di produzione Thisa e il direttore della fotografia Luca Coassin hanno optato per l'utilizzo della migliore telecamera digitale attualmente sul mercato: la Red one ad alta definizione (4K), uno strumento in grado di rendere in digitale la qualità video della pellicola. Autore della colonna sonora è il cantante Davide De Marinis, presente anche nel cast del film.

Dopo questo primo film, che progetti hai?

Andare in pensione! Scherzi a parte, ho già in cantiere un nuovo film, anche questo a sfondo sociale: la storia di una giovane promessa del mezzofondo che finisce in carrozzina. Pensa al suicidio, viene salvato dall'amore di una disabile e dalla motivazione che gli infonde uno psicologo. E vince le Paraolimpiadi. La disabile è una vera disabile, lo psicologo pure. E nel film si vedrà la prima scena di sesso vero tra disabili”.

 

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Emanuela Da Ros

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