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05 maggio 2024

Vittorio Veneto

Profughi, una risorsa per Vittorio Veneto

Gli ospiti del Ceis (che già arricchiscono la città) saranno coinvolti in attività di volontariato

| Stefania De Bastiani |

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| Stefania De Bastiani |

Profughi, una risorsa per Vittorio Veneto

VITTORIO VENETO - I profughi sono una risorsa per la città di Vittorio Veneto: con loro, arrivano al Comune introiti e posti di lavoro. Non solo: dalle prossime settimane i ragazzi ospitati al Ceis saranno coinvolti in attività di volontariato, diventando così anche "manodopera" che, a titolo gratuito, contribuirà al benessere della città.

Dopo un anno dall'arrivo dei primi profughi, è giunto ieri il nulla osta della Procura che permette ai giovani ospiti di rendersi utili per la comunità. A dare l'annuncio, ieri sera, è stata l'Assessore alle Politiche Sociali Barbara De Nardi, presente alla Conferenza "120 a Serravalle" tenutasi al collegio Dante e organizzata dalla Rete di Cittadinanza Solidale.

 

"Dal punto di vista giuridico - ha precisato l'assessore De Nardi - il Comune non ha alcun ruolo nell'accoglienza. Ma oggi la Prefettura ha concesso il nulla osta a coinvolgere chi è favorevole in attività di volontariato. Nei prossimi giorni cercheremo di capire, e trovare, le attività che potranno essere svolte da questi ragazzi".

Alla Cooperativa Cadore, di cui ieri sera ha portato l'esempio l'addetta ai servizi di accoglienza della struttura bellunese Monica Argento "li abbiamo subito coinvolti nelle attività. Dallo sfalcio dell'erba alla pulizia delle strade i ragazzi si sono sentiti immediatamente utili - ha spiegato Argento - e lo sono stati. Ma gestirli era più facile poiché li abbiamo divisi in gruppetti di poche persone".

"I profughi possono in questo modo essere preziose risorse per il territorio - ha spiegato Vera Salton, portavoce della Rete - e lo sono comunque già. I soldi che vengono dati alla struttura di accoglienza vengono spesi in città, per il cibo e quant'altro, muovendo così il tessuto economico vittoriese. Non solo: creano posti di lavoro (per erogare servizi a 120 ragazzi servono persone) e possibilità lavorative".

 

Ma chi sono questi ragazzi? Da dove vengono? E perché sono qui?

A fare un punto, generale, della situazione è stata Rosanna Marcato, esperta di diritto d'asilo. "Quando sento la parola emergenza mi vengono i brividi", ha esordito Marcato, spiegando che "non si può definire emergenza una situazione che dura da 15 anni: è una presa in giro. I primi sbarchi sono cominciati a inizio degli anni 2000. Nei paesi di provenienza di questi ragazzi ci sono guerre, conflitti, situazioni disastrose e, che sia per minoranza etnica, religiosa e per questioni economiche, molti di loro sono costretti a fuggire. Le famiglie vendono tutto per pagarsi il viaggio. Prima di sbarcare in Italia, arrivano il Libia, dove molti di loro vengono vessati, schiavizzati. Quando giungono in Italia devono chiedere il diritto di asilo qui perché è il primo paese che toccano e, per il Regolamento di Dublino, anche se escono dal nostro i paese vengono rimandati in italia".

"Quando sbarcano a Lampedusa vengono identificati con le impronte digitali e smistanti in grandi centri al Sud dove sono in migliaia. Oppure dalle navi vengono caricati direttamente sul pullman che li porta, ad esempio, a Vittorio Veneto. E le prefetture vengono avvisate di questo in tempo reale".

"Chi viene qui chiede asilo politico o protezione sussidiaria, a seconda della situazione in cui si trova, ma l'iter burocratico per ottenere questo permesso è lunghissimo (si parla di 2 anni e mezzo se non di più) oltre che impossibile da seguire per questi ragazzi che non solo non conoscono la giurisdizione ma nemmeno la lingua. E se non sono fortunati trovano qualcuno che li aiuti a seguire l'iter, altrimenti diventano clandestini. Per loro è durissima: mettiamo nei loro panni".

 

Mettiamoci nei panni di Abulei, ospite del Ceis che viene dal Gambia e che ieri ha preso la parola davanti alla platea di cittadini e profughi. "Raggiungere l'Italia in mare è stata una missione suicida - racconta Abulei - Molti sono morti durante il viaggio mentre noi, i più fortunati, siamo riusciti ad arrivare. E' stato terribile, tutto, in Libia la situazione è tragica: nostri compagni sono stati presi, accoltellati, uccisi davanti ai nostri occhi. Molti di noi hanno subito il peggiore e il più inumano dei maltrattamenti. Qualcuno non ce l'ha fatta a sopravvivere".

Abulei racconta sommariamente ciò che è stato. E riferisce cosa, invece, è. Lo spiega ai vittoriesi, che (lo sa anche lui) non hanno capito. "Voi pensate - Abulei si rivolge ai cittadini - che il vostro governo ci dia un sacco di soldi. Ma non è così. Abbiamo 35 euro ogni 15 giorni e con quelli dobbiamo prenderci le medicine se stiamo male, qualche vestito se ne abbiamo bisogno, le ricariche per il cellulare. Vi ricordo che molti di noi hanno lasciato nel paese d'origine genitori, fratelli, figli e per arrivare fin qui abbiamo rischiato la vita in ogni momento".

E ora? "Ora ci troviamo segretamente imprigionati in un campo dove i nostri diritti vengono cancellati. Ma perché? Non abbiamo commesso alcun reato. Abbiamo protestato - conclude Abulei - ma non è cambiato nulla. Abbiamo smesso di lamentarci, e la situazione non è migliorata. Come non è cambiata fuori, sulle strade, dove al gente ci guarda con timore e diffidenza. Ma perché? Noi siamo come voi. Siamo tutti esseri umani".

Conferenza "120 a Serravalle", aula magna del Dante

 


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