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28 marzo 2024

Vittorio Veneto

Tra “resistenza” e “esistenza” un grido di continuità

| Emanuela Da Ros |

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| Emanuela Da Ros |

Don Ciotti in Cansiglio

PIAN DEL CANSIGLIO – Labari, bandiere tricolore, fazzoletti rossi, pascoli verdi, cielo azzurro e un rigurgito di striscioni e manifesti antimafia. Il Pian del Cansiglio oggi si è aperto ai colori della storia (della resistenza), ma anche ai colori della pace, dell’indignazione, della vocazione alla libertà. “Da raggiungere – l’indicazione è di don Luigi Ciotti – con i fatti più che con le parole. Parole di carne. Perché le celebrazioni – da sole - non servono a niente. E soprattutto perché la libertà non c’è finché c’è chi è senza casa, senza lavoro, senza dignità”.

Oragnizzata dall’Anpi e dall’Associazione volontari della Libertà delle province di Treviso, Pordenone, Belluno, la manifestazione ha visto la partecipazione di oltre un migliaio di persone. E di un personaggio come don Luigi Ciotti, che però disdegna di fare da protagonista: “Sarebbe la sconfitta della mia vita – ha esordito il prete originario di Pieve di Cadore – se si dicesse che oggi in Cansiglio è venuto don Luigi Ciotti. Oggi non ci sono io qui. Ci siamo noi. E’ il noi che vince. Il cambiamento ha bisogno di un “noi”.”

Emozionato e fiero di tornare in quella che riconosce come la sua terra, don Ciotti (e scordiamoci per un momento il “noi”) ha parlato ad “amici e compagni” (come ha definito la platea Umberto Lorenzoni dell’Anpi), con commozione, ma anche con forza. Con l’intensità che guida il suo operare da almeno mezzo secolo.


 

Le origini. Don Ciotti ha ricordato di essere originario di Pieve di Cadore. All’età di cinque anni, dopo essersi trasferito con la famiglia a Torino, questo prete-di-strada ha ricordato di aver vissuto in una baracca. E di essere andato in giro con gli abiti della San Vincenzo, perfettamente lavati e stirati dalla mamma: “perché uno può essere povero, ma dignitoso”.

La libertà. Nell’orazione di don Ciotti ampio spazio è stato dato al concetto di libertà. “La più grande ferita della natura umana – ha detto – è la privazione della libertà. Come sapevano bene coloro che in Cansiglio sono morti per conseguirla. Allora si parlava di resistenza, ma questa parola ha un etimo in comune con “esistenza”. Oggi siamo liberi? Chi è senza casa non è libero; chi è senza lavoro non è libero; chi è povero non è libero. C’è un filo che unisce la resistenza di ieri e di oggi, Più che un filo, un grido. Oggi c’è bisogno di una nuova forma di resistenza: etica, civile e culturale. Non dobbiamo assecondare il corso della storia, ma deviarlo. Abbiamo un debito con chi ha combattuto per la libertà in Cansiglio. Con chi qui si è stretto la mano. Ma non dobbiamo dimenticarci che coloro che non sono più qui, sono vivi: io durante la messa li ho sentiti vivi”.

 

La cultura. Grande attenzione don Ciotti ha riservato alla cultura, all’istruzione, alla formazione. “La cultura – ha detto – dà la sveglia alle coscienze. Oggi, nel nostro paese, dovrebbero esserci meno leggi e più attenzione al leggere. In Italia ci sono sei milioni di analfabeti. In Europa occupiamo gli ultimi posti per la dispersione scolastica. Oltre a una povertà di risorse, siamo di fronte a una povertà culturale.”

La mafia. Appena qualche giorno fa alcune intercettazioni telefoniche avevano riferito come il boss di Cosa Nostra Totò Riina avesse trovato “scomodo” (la parola, nel gergo mafioso, ha le conseguenze che immaginiamo) l’operato di don Luigi Ciotti e della sua associazione Libera sulle terre sequestrate alla mafia. Dal Cansiglio, Luigi Ciotti invita Riina “a cambiare”. Convinto che “non sono i mafiosi che ci spaventano, ma chi ha connessioni con la mafia. I mafiosi non sono niente. Il mafioso è nessuno. Il potere della mafia non viene dal suo interno ma da fuori.”.

“In tempi di crisi come questi – ha detto don Ciotti – le mafie sono tornate a essere quanto mai forti. I mafiosi passeggiano per la città con la violenza dei guanti bianchi. Oggi chi ha i soldi sporchi per comprare di tutto e di più sono le mafie. Non è possibile che da 400 anni ci sia la Camorra; che da 200 anni ci sia Cosa Nostra; che da 100 anni ci sia l’Ndrangheta: qui c’è qualcosa che non funziona. Qualcosa che non funziona. Qualcosa che non funziona. Bisogna fare attenzione al fatto che oggi la mafia investe nell’agro-alimentare: che in Italia ci sono 5 mila ristoranti a rischio mafia. E poi dovremmo ricordare che è la Banca d’Italia (e non don Ciotti) a scrivere nero su bianco che “la corruzione e la mafia siedono nei consigli di amministrazione degli enti pubblici”.

Il Vangelo e la Costituzione (primo testo antimafia). Riferimenti? Don Ciotti svela, tra i pascoli e le doline del Cansiglio, i suoi due punti di riferimento. A orientarlo sono sempre stati due testi (così diversi in apparenza): il Vangelo e la Costituzione italiana. “La Costituzione – ha affermato – è il primo vero testo antimafia. Se fosse applicata, risolverebbe molti problemi. Facciamola diventare più costume!”

Giustizia, politica e responsabilità. “A mio parere – ha affermato don Ciotti – la democrazia ha due doni in sé: la dignità umana e la giustizia. Questi due perni si sorreggono slo grazie a una terza gamba: quella della responsabilità. Non deleghiamola alla politica, però. La responsabilità spetta prima di tutto a noi. Per Paolo VI la politica è la più alta forma di carità. La politica deve quindi occuparsi prioritariamente di fatica, gente, lavoro. Se la politica è lontana dai bisogni della gente è lontana dalla politica.

E la Chiesa? La Chiesa – per don Ciotti – ha il dovere di parlare quando si trova di fronte a situazioni di ingiustizia, di violazione della dignità umana. “Di Benedetto XVI – spiega Ciotti – ho apprezzato la dichiarazione d’umiltà. A papa Francesco, quando l’ho incontrato, ho detto “Oh, guarda, questa volta lo Spirito Santo ci ha visto giusto”. Al di là dlle battute, papa Francesco ha scelto di illuminare con l’olio di Libera, l’associazione antimafia, le ampolle che ricordano i caduti a Redipuglia. E il suo è stato un gesto importante”.

Emanuela Da Ros

 


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