La strage del paesaggio
La voce del poeta
| Emanuela Da Ros |
REFRONTOLO – Anche se il cielo tuona ancora, è il tempo del silenzio a Refrontolo. Tra il fango e la distruzione, il dolore e il lutto, a poco a poco si placa la tempesta delle intemperie. Ma le polemiche sferzano lo sgomento del “giorno dopo”.
Quello che è successo in una sera di mezza estate nell’anfiteatro di colline trevigiane disorienta e crea mestizia. C’è una colpa umana dietro la tragedia? O tutto doveva avvenire per un ineluttuabile disegno del destino?
La voce del poeta. Di Refrontolo erano probabilmente originari gli avi di Andrea Zanzotto. Il poeta di Pieve di Soligo che ha dedicato la sua opera omnia al paesaggio. E alla sua devastazione: “E così purulento, il cancerese, il cannibalese/ s’increspa in onda, sormonta/ tutto ciò che con ogni amore e afrore di paese doveva difenderti, Ligonàs, circondato/ da funebri viali di future “imprese”,/ da grulle gru, sfondamenti di orizzonti/ che crollano in se stessi/ intorno a te”.
“Nella raccolta Conglomerati – spiega Francesco Carbognin, docente di Filologia classica e Italianistica all’Università di Bologna – Andrea Zanzotto parla di “cosca sera” e dice “addio” al paesaggio, trasformando il “Rio Bo” di Palazzeschi nel “Rio fu”. Con parole e grafemi grafici il poeta allarma. Riprende a scandagliare dentro la ferita del paesaggio, e dell’uomo. Nella lirica “Dirti natura” che si trova in Sovrimpressioni ci aveva già detto che questa parola non aveva più senso, perché ”travolta in misura di loschi affari/fatta da bulbi oculari/incendiati/dal re di denari”. Diventa quindi legittimo, o indispensabile, trovare un’associazione tra il significante “natura” privo ormai del suo significato e il nome di Maria Fresu, la giovane vittima della strage della stazione di Bologna, avvenuta – guarda caso – il 2 agosto di 34 anni fa.”
Il 2 agosto. “Il 2 agosto 1980 – ricorda Carbognin – tra le 85 vittime della strage di Bologna, l’unico corpo a non venire trovato perché completamente disintegrato dall’esplosione fu quello di Maria Fresu. Tracce di dna della vittima furono rinvenute a oltre 200 metri di distanza dal luogo della deflagrazione e, in Idioma del 1986, Zanzotto dedica una poesia a Maria Fresu, di cui resta appunto solo un nome “scoppiato e disseminato” in milioni di dimenticanze. Così è per il nome “natura”, che appare anche in quest’occasione un rumore distante dal suo significato, un rutto, un’eco onomatopeica.”
Il Molinetto della croda. Difficile (per chi ha avuto l’ardore e l’ardire e la fortuna di leggerlo) non seguire la voce del poeta Andrea Zanzotto quando – era il 1951 (65 anni fa) – descriveva la “dolce curiosità” che avvicina ai mulini, che non sono una costante del territorio trevigiano, ma quasi una sorpresa “che fa trasalire”. Così il “Molinetto della Croda” a Refrontolo dopo aver cessato la sua attività, dopo aver fato “non più rumore che foglia” il due agosto è diventato luogo di una tragedia. “Quel sito – spiega Ugo Mattana, già docente di Geografia all’università di Padova – è un antro senza uscita. Un budello. Per cui è indecente il fatto che gli enti preposti abbiano consentito di ospitare lì una festa, un tendone: quel luogo non offre alcuna garanzia di sicurezza.” Autore, nel 2006, dello studio “Il paesaggio dell’abbandono nelle Prealpi trevigiane orientali”, Cierre editore, Ugo Mattana metteva in guardia contro lo sfregio del territorio a scopo utilitaristico. “Ora – sostiene Mattana – si può dire che la tragedia di Refrontolo sia stata causata dalla natura killer, da fenomeni atmosferici eccezionali, da un’estate atipica e nessuno nega che queste possano essere concause all’accaduto, ma non si possono chiudere gli occhi sulle devastanti trasformazioni che il paesaggio collinare trevigiano ha subito negli ultimi trent’anni. Gli sbancamenti per la soia prima e per i vigneti in tempi recenti hanno deformato il territorio, hanno fatto al paesaggio un dispetto/difetto per il quale non si sono valutate le conseguenze, perché viviamo fondamentalmente la terra in modo contraddittorio: abbandoniamo la montagna quando e se ci fa comodo e la sfruttiamo in modo iperproduttivo per la stessa ragione.”
Come il Vajont? All’indomani della tragedia di Refrontolo il governatore Luca Zaia ha paragonato la dinamica idraulica che è stata all'origine del dramma con quanto avvenuto a Longarone. “Una massa d'acqua – ha detto Zaia - all'improvviso, come nel caso del Vajont, si è rovesciata su ignari e inconsapevoli cittadini, alimentata a monte da una quantità di precipitazioni che trova meteorologicamente pochi paragoni negli anni recenti.” L’associazione alla tragedia ha suscitato lo sdegno della sentrice Puppato, ma anche diffuse perplessità. “Paragonare quanto è avvenuto a Refrontolo alla catastrofe del Vajon è ridicolo – ha detto la poetessa Patrizia Valduga -. Dietro la diga c’erano delle precise responsabilità, qui ci troviamo di fronte a un disinteresse collettivo per la religione della Terra.”
Emanuela Da Ros