Luciani: partecipazione corale come incrocio tra emozione e intelligenza
A un mese dal XXV Premio Scarpa
TREVISO - A un mese dal XXV del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, siamo tornati a parlarne con il Presidente della Giuria del Premio, Domenico Luciani, per ragionarci "a freddo" e cogliere gli aspetti peculiari e le prospettive.
1. Siamo arrivati a quota XXV per il Premio Scarpa, un traguardo sicuramente invidiabile, ma che significa e certifica la qualità culturale del suo progetto, che, a ragione, la vede Presidente. Qual è il filo conduttore di questo percorso?
Il senso del premio è un'ostinata indagine sulla forma e la vita dei luoghi. Ogni anno la giuria ne designa uno, sul quale un gruppo di ricerca della Fondazione Benetton Studi Ricerche concentra l'indagine per illuminarne i connotati naturali, gli strati storici, le condizioni attuali, e ne pubblica i risultati. L'obiettivo è tentare di rispondere alle domande più difficili. Di che cosa sono fatti i luoghi? Quali sono gli ingredienti sempre presenti pur nella infinita meravigliosa varietà del loro modo di stare nello spazio e nel tempo. Perché ci sono indispensabili? Perché ci sentiamo con alcuni di loro a nostro agio e con alcuni altri a disagio? Perché soffriamo se ci pare che siano in pericolo?
2. Può darci una definizione del "Sigillo", che ha consegnato agli amici della Bosnia?
Un piccolo oggetto di ottone brunito disegnato come cardine e sigillo da Carlo Scarpa, usato con vari esemplari di diverse dimensioni nel giardino sepolcro di San Vito di Altivole. Ha un puro valore simbolico e viene consegnato a chi risulta responsabile della cura del luogo dopo aver pubblicamente motivato la scelta.
3. Quali sono le vostre aspettative, dopo la tre giorni di maggio?
Più che di aspettative, parlerei di impegni già formalizzati per costruire momenti di riflessione e di scambio in altre città italiane, Bolzano, Venezia, Trieste, forse altre, e con le città di riferimento dei villaggi, in particolare Srebrenica che ne anche capoluogo amministrativo. Sono incontri con persone e realtà che partecipano concretamente all'impresa dei giovani bosniaci e delle loro famiglie per ritrovare, attraverso il dialogo tra loro e la cura dei loro luoghi, la strada del ritorno là dove è depositata la loro memoria e dove li aspetta un possibile riscatto e una nuova condizione.
4. Quale percezione è riuscita a cogliere tra le centinaia di persone che hanno partecipato all' ultima edizione?
Mi pare di poter definire la partecipazione collettiva a questa edizione del premio un momento ad alta tensione culturale e conoscitiva, all'incrocio tra emozione e intelligenza.
5. La collaborazione con la Fondazione Langer è un breve percorso? continuerà?
Il mio personale auspicio è per una collaborazione intensa e duratura. Da parte dei responsabili della Fondazione Langer è venuto il riconoscimento del ruolo dei luoghi e della loro cura nel processo di riconciliazione interetnica, come vicinanza e convivenza di culture e di religioni. Da parte nostra è stata misurata, ben oltre i confini disciplinari, l'energia degli incroci, dei confini, dei ponti, delle specie pioniere come metafora universale.
6. Rimettersi in cammino per la XXVI edizione: c'è già qualche idea? qualche direzione di marcia?
La giuria, come sempre è successo, troverà intanto l'accordo sull'intersezione tra un tema non ancora affrontato e un'area geografica non ancora attraversata. Ogni anno questo metodo ci ha permesso di arrivare a un risultato quasi sempre unanime. Il lavoro del premio comincia con una domanda e un viaggio. Nell'ultimo caso ci siamo chiesti se il “bisogno di luogo” potesse resistere a uno strappo tremendo come la guerra e siamo andati in Bosnia-Erzegovina; dal viaggio è nato poi tutto il resto. La prossima domanda e il prossimo viaggio saranno definiti tra giorni. Poi si vedrà.
pietro.panzarino@oggitreviso.it