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29 marzo 2024

Treviso

Il vescovo ai sindaci:"No agli steccati ma reti di solidarietà"

Monsignor Gardin incontra i politici trevigiani per i tradizionali auguri di Natale

| Isabella Loschi |

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| Isabella Loschi |

vescovo Gardin

TREVISO - “Voi siete chiamati, in forza del vostro compito, a costruire e a far funzionare la polis, la città. Ma perché la città sia convivenza proficua per tutti e luogo in cui è riconosciuta la dignità di ciascuno, deve essere autentica comunità, cioè insieme di relazioni armoniose, positive, solidali”. Inizia così il messaggio di auguri di Natale del vescovo monsignor Gianfranco Agostino Gardin, che ieri ha incontrato i sindaci e il mondo politico trevigiano, durante il tradizionale colloquio prenatalizio in Episcopio.

“Non si tratta - continua Gardin - da parte di chi amministra, di progettare e realizzare soltanto pietre e mattoni, ma anche di far sì che vi siano, appunto, quei collanti che consentono davvero di dare voce, senso e dignità ad ogni persona. Si tratta insomma di aggregare e creare comunità che vivano serenamente e proficuamente tra di loro. Potremmo dire: non basta la materia, occorre anche la forma”. C’è allora una domanda che si pone da sempre in relazione alla città o alla comunità: come vivere insieme felicemente?

"Se guardiamo le nostre città - prosegue - registriamo che pesa spesso su chi vi abita un senso di precarietà diffusa, alimentata oggi da nuove paure urbane (alcune di esse, forse, un po’ volutamente enfatizzate da alcuni) e di nuove minacce: pensiamo all’inquinamento crescente, all’alimentazione insicura, al cambiamento climatico, al traffico insopportabile, alla malavita diffusa, alla disoccupazione estesa, ai risparmi a rischio. Questo induce a vivere blindati. Crescono le paure e le ansie, tra cui il timore di perdere il benessere faticosamente costruito (gli anziani) o quello ricevuto gratuitamente (i giovani). E il futuro è visto con sfiducia”.

Il vescovo Gardin ricorda che gli steccati hanno nomi, quali “prima i veneti”, “prima i trevigiani”, che poi diventano “prima quelli del mio comune, del mio quartiere, del mio condominio”. “Le nostre città e i nostri paesi sono sorti come costruzioni di identità nei confronti di estranei, qualche volta di nemici esterni, di diversi da noi. E infatti attorno alla città correva la rassicurante cinta di mura, la quale aveva delle porte che rappresentavano più delle barriere che dei punti di accesso. E così, se la piazza ieri era il luogo-simbolo di valori condivisi e di identità omogenea, che saldava e garantiva una convivenza unitaria, oggi è divenuta uno spazio aperto alla convivenza di persone differenti in tutto: dai tratti somatici al linguaggio al modo di vestire ai comportamenti. E anche questo provoca inquietudine, talvolta anche ostilità: il “nemico” non è più quello che si presenta da fuori sotto le mura, ma è dentro la città, in mezzo a noi. L’immigrato ne è l’esempio più vistoso; ma non è solo lui, è anche il concorrente nell’uso di beni sempre più ridotti, è il povero, il rifiutato”. "Ho parlato della città; ma neppure i nostri paesi, seppure in dimensioni minori, sembrano sfuggire alle tendenze cui ho accennato. Se tutto questo è, almeno sostanzialmente, vero, viene da chiedersi: come facciamo ad uscirne? Che cosa cambiare?”.

Il vescovo si rivolge ai sindaci chiedendo loro di farsi motori di “scelte operative che si caratterizzino fortemente per un investimento di capacità umane e relazionali, che rendono possibile l’ascoltare l’altro, entrare con lui  in empatia, chiunque esso sia, dal condominio al paese alla città, ricostruendo quel capitale-fiducia fortemente eroso e la cui mancanza è alla base delle paure del presente”. Si tratta insomma di favorire reti di solidarietà, di buon vicinato, “banche del tempo”, per dedicarsi un po’ agli altri; si tratta di monitorare le situazioni a rischio di esclusione sociale per prevenirle o correggerle, favorendo incontri e scambi tra generazioni, contribuendo così ad abbassare la soglia di solitudine e di incertezza del futuro, sentimenti che investono larghi strati di popolazione, specie giovani e anziani.  “Penso alla tragedia e alla solidarietà di 100 anni fa: all’indomani di Caporetto, interi paesi del Friuli e della provincia trevigiana fuggirono repentinamente in altre regioni, spaventati e impauriti, sfollati e profughi, lasciando qui casa e beni. I parroci li seguirono. Laddove restarono, i parroci rimasero a soccorrere e ad incoraggiare. Quello che la Chiesa fece allora con il vescovo Longhin e con i suoi preti è quello che cerca di fare di fronte al fenomeno dei profughi di oggi, con preti e laici impegnati”. Certo, una società multiculturale è sempre complessa e non è esente da contrasti, ma è il solo luogo in cui oggi può maturare la crescita collettiva. E questo domanda anche alla politica di ripensarsi, riscoprendo il suo senso profondo, i suoi valori fondanti e il suo vero fine: quello che viene prima delle ideologie e che il cardinal Martini ha riassunto così: «fare politica, oggi, significa dire al tuo prossimo che non è solo». Solo così si costruisce la città”.

L’altro grande tema toccato da monsignor Gardin è quello del lavoro. “L’emergenza lavoro, particolarmente in riferimento prevalente ai nostri giovani, è una delle questioni aperte di maggiore attualità. Dicevo che per ricostruire nei nostri paesi delle comunità civili che si sentano protette e garantite nei diritti delle singole persone e delle loro famiglie, che sperimentino il gusto di vivere assieme e maturino la convinzione di concorrere insieme al bene comune, sono indispensabili alcune garanzie che danno la dignità alla persona. Tra di esse una vi interpella quotidianamente: è l’emergenza lavoro”. “Ho personalmente sperimentato nei mesi scorsi, in occasione di visite a stabilimenti industriali chiusi e occupati dai dipendenti e nei contatti tenuti con loro, quanto sia sentito intimamente e pesi nella psicologia e nei comportamenti dei dipendenti il trovarsi senza lavoro e reddito - sottolinea il vescovo - e non solo per la mancanza di risorse finanziarie da portare a casa: uno si sente deprivato, indebolito, insufficiente di fronte a se stesso, alla moglie e ai figli. È proprio vero quanto ha detto papa Francesco parlando al mondo del lavoro a Genova lo scorso maggio: «La mancanza di lavoro è molto di più del venir meno di una sorgente di reddito per poter vivere. Lavorando noi diventiamo “più” persone, la nostra umanità fiorisce. I giovani diventano adulti solo lavorando. Gli uomini e le donne si nutrono con il lavoro, con il lavoro sono unti di dignità. Per questo attorno al lavoro si unisce l’intero patto sociale»”.

“Se guardiamo alla nostra realtà provinciale e diocesana, incontriamo troppo spesso fenomeni quali: lavoratori esclusi a 10-15 anni dall’età del pensionamento che non sanno dove trovare nuovo lavoro; giovani che non lo trovano e vanno all’estero, dopo che la famiglia, le istituzioni, lo Stato hanno investito rilevanti risorse umane e finanziarie per formare ciascuno di essi, con la conseguenza di impoverire la società futura del nostro paese sul piano delle qualità e capacità umane e professionali, oltre che su quello economico e previdenziale; giovani costretti ad adattarsi a svolgere mansioni che troppe volte si rivelano temporanee, sottopagate, frustranti; giovani non formati ad esercitare lavori e mansioni anche manuali e materiali, specie nella manifattura e nei servizi, di cui c’è richiesta da parte di industriali del territorio e che a questo punto divengono lavori appannaggio obbligato degli immigrati; e giovani immigrati che trascorrono le giornate nel vuoto di piazze della città e dei paesi, in attesa di riconoscimento, formazione, lavoro”. “So di non avere particolare titolo per farlo, ma permettetemi di invitarvi ad investire nella formazione giovanile e nell’istruzione. Non sarebbe questo un modo per investire su ciò che contiene forza creativa, carica di inventiva, di passione e voglia di cambiamento? Mi pare che là dove si è investito sulla formazione giovanile si sono registrati scatti in avanti nella creatività e nella produzione. Con la collaborazione di chi tra Voi è impegnato nel Parlamento e nella Regione, e con quella degli imprenditori, vi solleciterei anche ad impegnarvi a smuovere incrostazioni normative e burocratiche, per creare possibilità di lavoro qui, affinché i giovani, dopo avere fatto opportune esperienze di studio e di lavoro in Paesi esteri, ritornino per sviluppare quanto hanno confrontato e appreso”.

Infine il vescovo Gardin esprime una posizione anche sul tema della conciliazione dei tempi di lavoro e di famiglia. “Se il lavoro è un diritto fondamentale dell’uomo, anche il riposo festivo è un diritto. Il frutto del lavoro e dell’industria può essere goduto solo se si lascia uno spazio libero al non lavoro”.

“Mi pare di poter concludere con le parole rivolte dal Papa all’Assemblea nazionale dell’Anci. Si rivolgeva ai sindaci, ma sono parole che valgono per tutti gli incarichi pubblici: «Un sindaco deve avere la virtù della prudenza per governare, ma anche la virtù del coraggio per andare avanti e la virtù della tenerezza per avvicinarsi ai più deboli». A tutti Voi l’augurio cordialissimo di un lieto e santo Natale e di un felice nuovo anno, unitamente all’augurio di un lavoro soddisfacente e ricco di buoni frutti per la crescita delle comunità che siete chiamati a servire, con “coraggio e tenerezza”.

 


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