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19 marzo 2024

Esteri

Texas, liberati ostaggi sinagoga: sequestratore ucciso

Blitz delle forze dell'ordine. L'annuncio del governatore: "Ostaggi liberi, stanno bene"

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Texas, liberati ostaggi sinagoga: sequestratore ucciso

DALLAS (TEXAS, USA) - Sono stati liberati gli ostaggi trattenuti per oltre 10 ore nella sinagoga di Dallas-Fort Worth in Texas. Il sequestratore è stato ucciso. Le forze dell'ordine hanno compiuto un blitz dopo ore di trattative condotte dall'Fbi. L'ingresso degli agenti nella sinagoga è stato preceduto probabilmente da un 'esplosione controllata, a cui hanno fatto seguito colpi di armi da fuoco. Su Twitter, il governatore del Texas Greg Abbott ha annunciato: "Tutti gli ostaggi sono liberi e stanno bene".

L'uomo, che diceva di avere una borsa piena di armi, aveva preso in ostaggio il rabbino ed altre tre persone della congregazione Beth Israel. Minacciava di sparare se la polizia fosse intervenuta. Aveva chiesto la scarcerazione della terrorista Aafia Siddiqui, detenuta nella Carswell Air Force Base vicino a Fort Worth, e dichiarandosi fratello della donna. Tutto questo è stato smentito da Marwa Elbially, legale di Siddiqui: "Condianniamo l'azione e preghiamo il sequestratore di liberare gli ostaggi - le parole dell'avvocato durante la giornata -. Vogliamo chiarire che non è il fratello di Aafia Siddiqui. Il fratello è uno stimato architetto e membro della comunità. Chiunque sia l'assalitore, vogliamo sappia che le sue azioni sono condannate da Aafia Siddiqui e dalla sua famiglia".

"Io morirò" aveva urlato più volte il seqiestratore. Nel momento dell'attacco la sinagoga stava trasmettendo in streaming su Facebook le funzioni del sabato. "Io morirò, lasciando sei bei bambini. Non piangete per me", aveva ripetuto l'uomo prima che venisse bloccata la diretta. Prima dello stop aveva continuato a parlare di religione con un evidente accento britannico, facendo diversi accenni all'Islam. Aveva poi espresso la sua rabbia contro l'Inghilterra ed aveva più volte fatto riferimento alla sorella chiedendo di parlare con lei.

CHI E' 'LADY AL QAEDA'

Aafia Siddiqui è una pakistana con lauree al Mit e alla Brandies University che sta scontando negli Stati Uniti una condanna a 86 anni per terrorismo. Soprannominata dalla stampa americana 'Lady al-Qaeda', la donna, che ha 49 anni, è stata condannata negli Stati Uniti non per legami con al-Qaeda, ma per aver tentato -secondo l'accusa- di sparare ai militari statunitensi che la interrogavano dopo la sua cattura in Afghanistan nel luglio del 2008.

Siddiqui, madre di tre figli, è un'ex studentessa del prestigioso Massachussetts Institute of Technology (Mit) con un dottorato in scienze neurologiche. Nel 2002 è rientrata in Pakistan per poi sparire con i figli nel marzo successivo, in seguito all'arresto di Khalid Sheikh Muhammad. In seconde nozze Siddiqui ha sposato un nipote della mente delle stragi negli Usa, Ammar al-Baluchi.

Nel 2004 la donna è stata inserita nella lista dell'Fbi dei più pericolosi collaboratori di al-Qaeda. Secondo i familiari della Siddiqui, la donna è stata detenuta per cinque anni -dal 2003- dalle forze Usa nel carcere di Bagram, in Afghanistan, dove avrebbe subito torture e abusi. Negli anni scorsi alla Siddiqui è stata associata anche la storia del 'Prigioniero 650', l'unica donna rinchiusa a Bagram, secondo i racconti degli ex detenuti della prigione. Lei stessa durante un'udienza ha affermato di essere stata in una "prigione segreta".

Siddiqui è stata trasferite al Federal Medical Center Carswell, penitenziario femminile nei pressi di Fort Worth, per ragioni mediche. La donna lo scorso luglio ha denunciato di essere stata aggredita da un'altra detenuta e, poi, messa in isolamento, secondo quanto ha denunciato Council on American-Islamic Relations di Dallas-Fort Worth. Protesta presentata anche dal governo pachistano.

Il governo americano considera Siddiqui una pericolosa terrorista e l'ha descritta prima della cattura come 'la donna più ricercata al mondo'. In diverse occasioni ha rifiutato di scambiarla con ostaggi americani, compreso il giornalista James Foley, prima della sua esecuzione da parte dello Stato Islamico.

 



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