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29 marzo 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

Sui passi e tra le parole di Zanzotto

Il grande poeta pievigino ci ha indicato la strada. A ripercorrerla attraverso un libro ora è Rosanna Mutton, che ha scoperto la passione per la poesia grazie a un tuono

| Michele Zanchetta |

| Michele Zanchetta |

rosanna mutton

PIEVE DI SOLIGO - Rosanna Mutton è una maestra e da molti anni scrive poesie, pubblicando diverse raccolte. Il suo ultimo lavoro, però, è concentrato nella ricerca delle tracce di Andrea Zanzotto nel territorio, dove l’ambiente ha ispirato la sua poesia.

 

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Nata a Barbisano si definisce una pievigina doc. “Ho sempre vissuto qui – dice - il mio sogno di bambina era di fare la maestra elementare e da oltre quarant’anni insegno nelle scuole tra Quartier del Piave e Vallata. Sono consulente e seguo tirocini con il dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Padova, mentre dal punto saggistico ho pubblicato alcuni libri di storia del territorio. Nell’insegnamento ho portato le mie passioni per la storia e la poesia, che ho maggiormente cercato di trasmettere ai miei alunni. Ho avuto centinaia di studenti, li ho visti crescere e diventare adulti.

 

Quando è nato il rapporto con la poesia?

Avevo nove anni e, con l’approssimarsi di un violento temporale, nel giardino di casa sentivo il suono del vento che, gonfiando le chiome dei pini marittimi, cresceva e si propagava nell’aria. Una sensazione di timore, indimenticabile, che mi ha spinto a scrivere la prima poesia dedicata alla forza della natura. Ad avvicinarmi fu anche il mio maestro Pietro Furlan, già sindaco di Pieve di Soligo, che ci faceva imparare le poesie a memoria; ciò ha contribuito a darmi il ritmo, a dare una struttura a quello che volevo scrivere. Negli anni ho partecipato a numerosi concorsi di poesia, vincendone diversi.

 

Come ti sei avvicinata ad Andrea Zanzotto?

Ho avuto modo di frequentarlo per lunghi anni e accadde che gli portai alcuni miei componimenti: Andrea li lesse e mi disse che assomigliavano ai suoi degli anni giovanili, risentivano molto dello studio dei classici dell’Ottocento e Novecento. Entrai in contatto con la sua poesia e mi avvicinai allo sperimentalismo linguistico, che fu di grande stimolo per il mio modo di scrivere.

 

Hai avuto la crisi di ogni artista?

Ad un certo punto dovetti staccarmi, trovare una voce che fosse mia; è stato un passaggio importante, ero arrivata a scrivere “non esistono parole che già esistono” e iniziò un momentaneo distacco. Ricominciai grazie all’incontro con Gianmario Villalta e al gruppo di Pordenone Poesia, con i quali ho trovato un modo nuovo di scrivere. Ora uso le parole del quotidiano, perché è la cosa più difficile usare le parole semplici in poesia, senza scadere nel banale o essere scontati.

 

Come è nato il libro “Le impronte della poesia nel paesaggio di Andrea Zanzotto”?

Dall’esigenza di trovare quelle ispirazioni e quelle immagini che furono care ad Andrea e alla base dell’esplosione della sua poesia, così carica di immagini e sensazioni. E’ stata una ricerca che ha coinvolto persone che lo hanno conosciuto e che hanno vissuto il suo tempo e i suoi tempi, accettando di vedere coi i suoi occhi la semplice bellezza del paesaggio.

 

Parliamo dei suoi percorsi.

Se camminiamo lungo la Via dei Troi a Pieve di Soligo, ripercorriamo i passi del poeta, sebbene allora non fossero che una serie di viottoli, appena accennati, non il bel percorso attuale. Qui lungo il fiume lo attiravano le piante, dalle domestiche a quelle che si sono adattate, crescendo anche nelle zone più impervie rigenerandosi ad ogni taglio. Questo percorso è descritto nella poesia Si, deambulare, un chiaro richiamo alla canzone di Lucio Battisti, dove insieme a citazioni di Vasco Rossi troviamo riferimenti alle gallinelle in un’aia, all’archeologia industriale, al fiume. Una cosa che amava molto erano gli scorci, che si aprivano verso le colline e oltre le Prealpi, quelle che lui chiamava il Profondo Nord.

 

Cosa vediamo lungo i suoi percorsi?

Incontriamo la natura e l’uomo, un paesaggio dove possiamo cogliere come si fondano perfettamente insieme, in un connubio felice, elementi differenti: le vecchie case, il maglio, l’antica fabbrica e il mulino, ma anche gli orti, l’acqua e i verdi argini. Passeggiamo lungo il muro antico del brolo, mentre ci accompagna il fruscio del vento tra le foglie e ascoltiamo il gorgoglio della roggia del mulino che si stacca dal fiume.

 

Sembra però proprio che quello che aveva predetto si stia avverando, il suo grido di allarme sulla devastazione ambientale è quanto mai attuale.

Lui fu un anticipatore sin dagli anni Sessanta: tutela e salvaguardia andavano messe in prima fila, non accantonate a favore del progresso ad ogni costo, che deturpava indelebilmente il paesaggio. Zanzotto è stato un maestro perché ci ha insegnato un modo di stare al mondo, una postura. Per lui la perdita di un paesaggio era il lutto per una persona cara.

 

La candidatura UNESCO delle nostre colline è stato un gran riconoscimento.

Io penso che in questi ultimi anni sia cresciuta una nuova sensibilità verso il paesaggio, cosa che non avevamo qualche decennio fa, esempio lo sono alcuni insediamenti industriali fatti in modo frammentario, rovinando gli scorci della campagna. La gente ha maggiore sensibilità per il tema ambientale, ama attraversare il territorio e vuole la conservazione dei percorsi naturali e storici. Questo ha portato ad una maggiore valorizzazione dei luoghi nei quali siamo vissuti, che forse ignoravamo perché abituali. Quando abbiamo imparato a guardarlo con occhi diversi, ne abbiamo colto il valore. Ci sono però dei limiti di sostenibilità che non dobbiamo superare, anche per non alterare quelle qualità che ci rendevano unici.

 



Michele Zanchetta

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