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18 aprile 2024

Treviso

Srebrenica: per non dimenticare!

Intervista a Chiara Longhi

| Pietro Panzarino - Vicedirettore |

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| Pietro Panzarino - Vicedirettore |

Srebrenica: per non dimenticare!

TREVISO - Oggi ricorre il ventesimo anniversario dell' eccidio di Srebrenica, avvenuto 11 luglio 1995, appunto.

La cittadina di Srebrenica è collocata nella Republika Srpska, l'entità della Bosnia Erzegovina a maggioranza serba.

Nel comune di Srebrenica, prima della guerra vivevano circa 28.000 bosgnacchi e 9.000 serbi, oggi conta in tutto circa 7000 persone e ha un sindaco bosgnacco.

A pochi chilometri da Srebrenica si trova Potocari,ex quartier generale del battaglione olandese delle Nazioni Unite, dove sorge ora il memoriale al genocidio (in foto).

 

Di fronte a personaggi internazionali, quali l'ex-Presidente americano Bill Clinton, l'Italia all'evento è rappresentata dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, mentre il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto lanciare un messaggio, "per non dimenticare".

 

Oggi c'è stata la commemorazione e la sepoltura dei resti di altre 136 vittime identificate, che si aggiungono alle oltre 6000 già sepolte, alla presenza di 80 capi di stato, incluso il premier serbo Vucic.

 

Sull'evento abbiamo intervistato la dr. Chiara Longhi, che segue da anni gli sviluppi politici ed economici dei paesi dell’ex Jugoslavia. Ha lavorato presso il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia a L’Aja e presso la sede OSCE di Belgrado.

 

Per definire quella strage si utilizza la categoria eccidio, da parte di alcuni Paesi, riducendone la gravità, rispetto al termine genocidio. Può definire il senso e il significato di genocidio?

Da anni continua l’identificazione dei resti delle vittime, rinvenuti spesso in due o tre fosse comuni diverse e distanti l’una dall’altra, a testimoniare le manovre avvenute dopo l’eccidio, e quindi la sua accurata pianificazione, così come i tentativi di nasconderne le tracce. Nonostante la commemorazione delle vittime avvenga ogni anno davanti agli occhi del mondo, la negazione del crimine avvenuto è ancora molto forte in Bosnia e in Serbia, ed è proprio per questo che la richiesta di giustizia delle vittime passa anche attraverso il riconoscimento dei fatti e la loro definizione formale. Il massacro di Srebrenica è stato definito genocidio dal Tribunale Penale Internazionale per i Crimini di Guerra nell’ex Jugoslavia con sede a L’Aja, dalla Corte di Stato della Bosnia Erzegovina, e, nel 2007, dalla Corte Internazionale di Giustizia.

 

Che dire, comunque degli interventi giudiziari, susseguiti in questo ventennio?

Per quanto riguarda le condanne individuali, nell’arco di 20 anni, il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia ha emesso 14 condanne per quanto accaduto a Srebrenica, che salgono a 37, se unite a quelle emesse dalla Corte di Stato bosniaca. Quattro processi sono tuttora in corso a L’Aja, inclusi quelli contro il leader politico dei Serbi di Bosnia, Radovan Karadzic, e il suo comandante sul campo, Ratko Mladic, entrambi in attesa di giudizio con l’accusa di genocidio e altri crimini (l’ex presidente serbo Slobodan Milosevic invece morì prima della conclusione del processo).

 

Il sentire comune, oggi, non condivide questo atteggiamento, quasi un voler coprire la gravità dell'evento...

Sono molte le critiche mosse a queste istituzioni, e al Tribunale de L’Aja in particolare, riguardanti l’efficacia del loro operato e l’opinabilità del loro contributo alla riconciliazione nell’ex Jugoslavia. Non si può tuttavia negare che l’enorme quantità di documenti, prove e testimonianze – oltre 100 sono le persone chiamate a testimoniare in aula per i fatti di Srebrenica- raccolti in due decenni costituiscono un contributo fondamentale alla lotta al negazionismo e al silenzio.

 

Qual è la sua opinione sulla posizione della Serbia, oggi?

E’ stato accolto come uno schiaffo alla memoria delle vittime il recente veto posto dalla Russia alla bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che condannava il massacro di Srebrenica come genocidio. Una decisione accolta con soddisfazione dalla Serbia, che ancora rigetta la definizione di genocidio, e insiste sull’utilizzo del termine “massacro”. E mentre il premier serbo Vucic si reca a Srebrenica, esprimendo “rabbia e amarezza” nei confronti di chi ha compiuto questo “crimine orribile”, a Belgrado un centinaio di cittadini accende candele in memoria delle vittime, dal momento che la più ampia manifestazione in programma è stata proibita per motivi di sicurezza, a seguito di annunciate contromanifestazioni da parte di frange nazionaliste. A dimostrazione del fatto che a distanza di vent’anni è ancora troppo facile manipolare la sovrapposizione di responsabilità collettive e colpe individuali.

 

Non mancano, comunque, le responsabilità della comunità internazionale...

Si è parlato spesso, e con sempre più forza nel corso degli anni, delle responsabilità della comunità internazionale per quanto avvenuto a Srebrenica. In particolare, forti sono le accuse mosse nei confronti delle forze delle Nazioni Unite presenti a Srebrenica nel luglio del 1995 per non aver messo in atto un intervento militare a protezione della popolazione. Documenti e rapporti diplomatici diffusi recentemente dimostrerebbero, infatti, che quanto accaduto a Srebrenica era prevedibile, alla luce delle informazioni in possesso delle agenzie d’intelligence e dell’ONU, colpevole quindi di aver dichiarato Srebrenica area protetta – assieme ad altre 7 in Bosnia - senza tuttavia dotarla di una presenza militare sufficiente a difenderla effettivamente dall’avanzata delle truppe Serbo-Bosniache. L’11 luglio quindi, migliaia di bosgnacchi cercarono rifugio nella sede dei caschi blu a Potocari, ma vennero espulsi, consegnandoli, di fatto, nelle mani delle truppe di Mladic, che procedettero a separare donne e bambini dai maschi tra i 16 e i 75 anni, destinati al massacro. E mentre i nomi di chi è accusato di aver compiuto questi crimini sono spesso ben noti, sono le vittime ad aver ancora bisogno di ritrovare i propri nomi, perché li si possa scrivere, leggere, conoscere. E non dimenticare. 

 
 

 


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