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28 marzo 2024

Cronaca

"Situazione contagi gravissima in Veneto. Va imposto subito il lockdown"

Il dott. Manno annuncia un presidio del Covesap domani mattina davanti alla Protezione civile di Mestre. E sta per partire un esposto alla Procura a tutela della salute dei veneti

| Tommaso Colla |

| Tommaso Colla |

dott. Maurizio Manno

NORDEST - Il dott. Maurizio Manno è stato docente di Medicina del Lavoro presso le Università di Padova e di Napoli Federico II. Componente di vari comitati scientifici nazionali e internazionali, ha coordinatore molti progetti di sanità nazionali. E’ anche il fondatore del CoVeSaP, un organismo apartitico, indipendente e senza fini di lucro che riunisce numerosi comitati veneti sorti spontaneamente a difesa della Sanità Pubblica. E il CoVeSaP la settimana scorsa ha inviato due lettere, una a Roma (al ministro Speranza) e l’altra a Venezia (al governatore Zaia) in cui ha scritto che qui in Veneto stiamo rischiando grosso: contagi e decessi in continuo aumento; ospedali al collasso.

Dott. Manno, nessuna risposta ancora da Zaia e Speranza?

No, nessuna risposta: né sulle motivazioni dell’attribuzione del Veneto all’area gialla, né sulla richiesta di interventi di prevenzione e contenimento più efficaci e rigorosi.

Cosa farete adesso?

Un presidio, domani mattina, davanti alla sede della Protezione Civile a Marghera. Presenteremo una petizione per pretendere norme più restrittive, chiedendo le firme ai cittadini, agli operatori e alle forze politiche e sociali.

La zona gialla, secondo lei, è stato un clamoroso errore?

Sì. Alla luce dei dati attuali, che confermano un’evidente controtendenza rispetto ai dati nazionali,non si capisce come il Veneto sia e possa restare in zona gialla. Covesap ha chiesto al Ministro una rivalutazione della classe di rischio e al Presidente Zaia misure urgenti di contenimento del contagio.

La classificazione cromatica osserva però dei precisi parametri

Conosciamo i 21 criteri stabiliti dal Comitato Tecnico-scientifico ma non sappiamo come sono stati applicati. E’ giusta un’articolazione del rischio per regioni; ancor meglio sarebbe per aree epidemiologicamente omogenee. La classificazione deve almeno tener conto, se non anticipare, l’evoluzione della pandemia in quella regione.

E non è quanto avviene?

La classificazione del Veneto si basa soprattutto sul numero di posti letto di Terapia Intensiva disponibili, che dovrebbero essere circa 1000. Dico “dovrebbero” perché in realtà molti di questi sono riconvertibili, cioè virtuali, in quanto includono posti letto attualmente di altri reparti, ovvero 176 semintensivi e 90 delle sale operatorie.

Questo che cosa significa concretamente?

Il criterio del numero di posti letto può, anzi deve valere nei casi in cui il loro numero sia basso e quindi non possa garantire un’adeguata assistenza in caso di crescita del contagio; una specie di principio di precauzione. Ma lo stesso criterio non dovrebbe essere usato all’inverso, per attenuare le misure di contenimento di un contagio giornaliero a quattro cifre, com’è quello attuale in Veneto. Ricordo che oggi quasi il 50 % dei ricoverati in rianimazione non ne esce vivo.

Serve davvero un lockdown totale in Veneto?

Il rischio di contrarre una malattia da Covid, ma in generale da un agente tossico o patogeno, dipende da tre fattori: l’aggressività dell’agente stesso (il virus), la suscettibilità dell’ospite (cioè noi) e il livello di esposizione. Per ridurre la prima, niente o poco possiamo fare. Sulla seconda a gennaio dovrebbe essere disponibile il vaccino e dovremmo farlo tutti, o quasi, per ottenere la famosa immunità di gregge.

Dobbiamo quindi intervenire per evitare il più possibile l’esposizione: questo vuol dire?

In base alla situazione attuale, con quattro o cinquemila nuovi contagi e cento morti al giorno, un intervento urgente con forti restrizioni è non solo giustificato ma assolutamente necessario, se non vogliamo trovarci a Capodanno con gli ospedali pieni e un numero di morti ancora più elevato.

E dopo le feste che cosa prevede?

Difficile dirlo. Dipenderà dai nostri comportamenti e dalle decisioni di Governo e Regione. Il lockdown è necessario, non solo per superare questa terribile seconda ondata, ma anche e, direi, soprattutto per evitare di trovarci con le rianimazioni sature a gennaio o febbraio, quando in pieno inverno ci dobbiamo attendere la terza ondata e anche il picco dell’influenza, come ormai paventato da molti scienziati.

La Regione ma anche molti sindaci fanno la voce grossa e poi però hanno paura di emanare ordinanze di chiusura. Non è, oltre a un controsenso, un atteggiamento irresponsabile?

Sì, una mancanza di responsabilità da parte dei cittadini è grave, ma da parte delle istituzioni è inaccettabile. La chiusura totale non fa piacere a nessuno. L’abbiamo già sperimentato. Ma il lockdown è stato efficace nella prima ondata e ha riportato i contagi quasi a zero, grazie anche all’aumento della temperatura primaverile e al calo dell’umidità invernale, due fattori, il freddo e l’umidità, che favoriscono la diffusione del virus. Ora la situazione è diversa: l’inverno è appena iniziato, le restrizioni sono quasi inesistenti e le patologie influenzali sono alle porte.

I veneti stanno cominciando a rendersi conto del pericolo?

Non sembra. Basta andare in centro o a fare acquisti per rendersene conto. A differenza della prima ondata però, oggi tutti noi abbiamo almeno un conoscente, un amico o un parente positivo, malato o deceduto. La nostra valutazione come Covesap è che in Veneto ancora non abbiamo visto il peggio. Basta guardare i giornali. L’obitorio di Montebelluna è saturo e l’ospedale al collasso. Il pronto soccorso dell’ospedale Fracastoro di San Bonifacio scoppia. Manca il personale e i posti letto si liberano quasi solo per i decessi.

La comunità medica veneta non potrebbe intraprendere azioni per obbligare le istituzioni a prendere provvedimenti più stringenti?

La Federazione Nazionale dei Medici di Medicina Generale ha chiesto il lockdown già il 9 novembre. Senza risultati. Covesap sta preparando un esposto alla Procura della Repubblica a tutela della salute dei cittadini veneti e diffonderà una petizione in cui espone le proprie valutazioni per chiedere una riclassificazione della classe di rischio, interventi normativi rigorosi e stanziamenti eccezionali per il reclutamento di nuovo personale medico e infermieristico specializzato.

Raccomandazioni ai veneti per Natale?

Mascherina sempre, disinfezione frequente, distanziamento (almeno 2 metri) e confinamento rigorosi, soprattutto agli ultra settantenni. Cene e pranzi possibilmente solo tra conviventi. Limitare l’uso dei mezzi pubblici. Ricambio d’aria costante. Non fidarsi dei tamponi rapidi. Valgono se positivi ma i negativi sono falsi in almeno il 30% dei casi, come detto sopra. Ciascuno di noi deve abituarsi a convivere, comportandosi come se chiunque si incontri possa essere positivo e contagioso, inclusi i bambini, i conoscenti e i familiari. Ma anche, è duro a dirsi, come se noi stessi fossimo positivi asintomatici.

E ai pazienti cosa può dire?

Una semplice ma attenta registrazione dei segni e dei sintomi nelle fasi iniziali da parte del paziente stesso o dei familiari (temperatura, polso, frequenza respiratoria, percezione degli odori e dei sapori, tosse e soprattutto saturazione d’ossigeno col saturimetro) può contribuire, più di quanto si possa pensare, sia a prevenire il ricovero sia a segnalarne più tempestivamente la necessità.

Che cosa l’ha delusa più di tutto sinora?

Come medico, la poca attenzione prestata da parte delle istituzioni e dei media al ruolo dell’assistenza e della terapia domiciliare, l’unico vero presidio contro il Covid. La terapia (antivirali, aspirina, bromexina, cortisone) dovrebbe essere iniziata immediatamente senza aspettare il ricovero, che in molti casi non avverrà mai. E’ sbagliato contare solo sulla terapia intensiva che spesso è tardiva o inefficace.

 


| modificato il:

Tommaso Colla

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