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15 ottobre 2024

Cultura

Lo schwa (ə), la modalità che rende la lingua italiana inclusiva. Cos’è e perché si usa

“Non c’è nessuna volontà di cambiare la lingua italiana, ma abitare con agio la propria lingua è un diritto di ogni persona”

| Manuel Trevisan |

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| Manuel Trevisan |

Lo schwa, la

ITALIA – La società contemporanea è senza dubbio caratterizzata da una progressiva pluralizzazione culturale, che da una parte sta facendo emergere modalità inedite di inclusione, le quali mirano a superare il modello ormai obsoleto dell’integrazione, e dall’altra sta invece facendo ri-emergere timori del poco conosciuto. Proprio per questo, la sfida di qui ai prossimi anni sarà – oltre di frenare con decisioni risorgenti sentimenti di odio – sviluppare una nuova cultura, inclusiva, che tenga conto di tutte le persone.

Una modalità affinché questo avvenga si può individuare nell’esperimento linguistico proposto dalla sociolinguista Vera Gheno relativo all’utilizzo dello schwa (la e rovesciata: ə). Una proposta che sta facendo molto discutere, forse proprio perché nuova, diversa dal consueto. In un video pubblicato da Ted x Talks nel suo canale YouTube, la Sociolinguista ripercorre brevemente la storia dello schwa. Questo suono, infatti, non nasce in tempi recenti ma “è un simbolo già presente nell’alfabeto fonetico internazionale (IPA) utilizzato dai linguisti”.

La proposta nasce dalla necessità di risolvere un problema strutturale della lingua italiana: l’impossibilità di utilizzare una modalità neutra per rivolgersi a una moltitudine mista. Dato per assodato che declinare al maschile è una pratica di per sé escludente, e che le parole contano per definire e creare la realtà, è giusto considerare anche quei casi in cui le persone non si riconoscono nel binarismo di genere. “Per questo si è iniziato ad usare simboli quali l’asterisco, la chiocciola, il trattino basso… Modalità che, però, hanno un grande limite: non possono essere pronunciate”.

La grande critica all’innovativa proposta di Vera Gheno è che ci sia una volontà sottesa di cambiare la lingua italiana. Ma – almeno che non si creda al complotto del gender, e di questi tempi non sarebbe sorprendente – la risposta è presto data: “nessuno sta imponendo nulla. Il bello della lingua è la possibilità di sperimentare, e in una società che vuole andare verso la ‘convivenza delle differenze’ abitare con agio la propria lingua è un diritto di ogni persona”.

 


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Manuel Trevisan

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