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19 aprile 2024

SALVIAMO PALAZZO PATERNOLLI!

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Luca Barbirati | commenti |

Firenze-Gorizia distano quasi 400 km. Sono 8 ore di treno, o 3 giorni a piedi. Li ho percorsi come un pellegrinaggio, portando solo una copia della tesi di laurea di Michelstaedter. Sceso a Gorizia mi è subito tornata in mente Firenze, la meta che Carlo aveva preferito a Vienna dopo la maturità liceale. Gorizia è una piccola città che appare periferica, non solo rispetto allo scomparso impero austroungarico, ma anche all'attuale Italia. Non ha niente a che vedere con tutte le tappe precedenti del mio viaggio e, forse, nemmeno con le altre località friulane. Mi dirigo subito in Piazza Grande (oggi Piazza della Vittoria) che vedo per la prima volta con i miei occhi, dal vivo, perché colla mente me l'ero figurata moltissime volte guardando la cartolina che Carlo aveva mandato alla sua amica Iolanda De Blasi il 26 marzo 1907. Do le spalle al Municipio e ripeto nella mia testa “questa è la mia casa”. “Questa è la mia casa”, aveva scritto indicando una palazzina di tre piani posta di fronte alla biblioteca Paternolli. È qui che Carlo viveva, e qui incontrava i suoi amici Nino e Rico. Ordino un latte caldo alla pasticceria Flair, e sono tentato di provare i biscotti secchi che la barista vuole offrirmi come “biscotti di Michlestaedter”, ma rifiuto. Alzando lo sguardo mi imbatto in una parabola satellitare appoggiata sul terrazzino del secondo piano. Non devo far molta fatica per scoprire, dagli altri clienti, che la casa di Carlo non è di nessun ente pubblico e che anzi è stata comprata da privati. Uguale sorte spetta alla sua soffitta, l'attuale palazzo Paternolli, o almeno è quanto appare dal cartello dell'agenzia immobiliare che cura la proprietà: vende! Attraverso la piazza e percorro tutta via Rastello e quando arrivo davanti al mio Carlo, mi devo ricredere e devo lasciar cadere il possessivo. Sorrido nel vedere una giovane ragazza abbracciata a Michelstaedter. Rimango ad osservarli per qualche minuto. Avevo in mente di scrivere chissà quali cose, e inizialmente sono infastidito di non poter struggermi seduto a fianco al mio Carlo. Poi penso che tutto questo è ridicolo, che non esiste una parola in tutta la Persuasione che presupponga lo struggimento o l'autocommiserazione. Decido di buttare via tutti i miei appunti. Non li strappo nemmeno. Li piego e li inserisco dentro ad un cestino dell'immondizia. Mi presento a quella ragazza col sorriso, e ascolto la sua storia.



Luca - Che strano posto hanno scelto per la statua del centenario di Carlo Michelstaedter, proprio di fronte al viale intitolato a D'Annunzio, lo stesso D'annunzio che nei suoi appunti da studente ha definito "infame", il vate che si “limita alla forma e non penetra la sostanza”.

Chiara - Effettivamente quella statua piace poco, qui a Gorizia. E tanto meno la location in cui hanno scelto di metterla (alla fine di una strada, anziché in piazza, di fronte alla casa del filosofo). C’è da ricordare che a Carlo hanno intitolato anche una via… Ma è un vicolo cieco.

L. - Perché stavi abbracciando la statua di Carlo?

C. - Stavo abbracciando la statua per un servizio Rai; perché al giornalista è venuto in mente come la cosa migliore, per far capire l'importanza di salvare palazzo Paternolli, fosse proprio raccontare la storia da cui è nato tutto: l'amore che prova una giovane studiosa per i testi michelstaedteriani, per la vita di Carlo e per quanto (ci) resta di lui. Può sembrare assurdo (per alcuni, forse, macabro), ma vado spesso ad abbracciare quella statua, oppure la lapide al cimitero ebraico, dove il filosofo riposa: perché mi sembra, quasi, di sentirlo ri-vivere.

L. - Sono appena arrivato a Gorizia. Ho visto solo il cartello "Vende" al 48 di Piazza della Vittoria. Raccontami un po' cosa sta succedendo.

C. - Quel cartello l'ho visto sotto Natale. Prima non c'era. Mi sono spaventata perché ho subito pensato alla casa di Carlo, venduta alla stregua di un immobile come tanti. Dicono che c'è l'epigrafe fuori, che racconta la storia di quell’edificio… Ma con un'etichetta non si fa cultura: si lascia semplicemente morire ciò che, purtroppo, è umanamente destinato a fare il suo corso. Mentre, invece, i valori trasmessi da chi ci ha lasciato dovrebbero essere rivissuti nei secoli, perché ci hanno reso pur sempre ciò che siamo in quanto “umanità pensante”. Comunque, qualche tempo dopo aver visto il cartello, mi sono recata all’agenzia immobiliare che gestisce la trattativa per saperne di più; e ho concordato un appuntamento con l'amministratore dello stabile. Sono entrata a palazzo Paternolli giovedì 21 gennaio: erano le 11.00, piangevo salendo le scale; e più mi avvicinavo alla soffitta, più mi tremava la voce. L'amministratore mi ha spiegato che il suo sogno (così come il mio) sarebbe quello di fare dello stabile un centro culturale; ma nessuno si è mai interessato al progetto. Ricordo ancora gli occhi lucidi della ragazza dell'agenzia, mentre mi diceva che non ce l'avrei mai fatta: con lo sguardo disilluso di chi vorrebbe davvero succedesse un miracolo. Da qui è iniziato tutto. Ho contattato immediatamente tutti gli enti pubblici e i politici della città, nella speranza di riuscire a fare qualcosa per la nostra cultura.

L. - Come si presenta ora la soffitta? Come l'hai vista?

C. - La soffitta è messa piuttosto male, ma la “sacralità” del luogo è rimasta intatta… Si percepisce tutta.

L. - Perché dovrebbe essere salvata?

C. - Perché è il luogo forse più caro Michelstaedter: lì si sentiva bene. In una lettera racchiusa nel suo epistolario scrive proprio “(…) Quanta pace c’è lì su, che non c’è altrove – che non c’è nel mio animo che ‘va colla testa bassa’ “. Per lui quella soffitta era la sua casa, dove “viveva” con i suoi amici.

L. - Mreule e Paternolli, certo. E cosa vorresti fare? Qual è il tuo obiettivo e come vorresti realizzarlo.

C. - Il mio sogno è rendere la soffitta un museo, ricostruendola così com'è disegnata nel bozzetto fatto da Carlo. Il piano sottostante potrebbe diventare un centro socio-culturale, contenente i documenti del fondo Michelstaedter, i suoi dipinti. Inoltre, si potrebbero organizzare convegni a tema, caffè filosofici, luoghi per aiutare le persone in difficoltà: quelle che soffrono “esistenzialmente”. Ma per tutto questo c'è bisogno di finanziamenti, oltre a qualcuno che voglia investire nei locali dei piani inferiori. Sto cercando, infatti, degli investitori che possano e vogliano dar vita ad attività consone alla storia del palazzo. E alla piazza nel suo insieme (Non di certo -come avevano proposto- negozi di abbigliamento, parrucchieri, supermercati, eccetera).

L. - Nell'epistolario c'è una nota al disegno che Carlo manda a Chiavacci e che se non ricordo male dice "qui vivo una vita che non si può vivere, ma nasce una grande opera".

C. - E più avanti dice la frase che ti ho accennato prima "Quanta pace c'è lassù che non c'è nel mio animo che va colla testa bassa", come ho ricordato su Alfabeta2.

L. - Alcuni problemi sono sorti anche nella costituzione dello stesso Fondo, vero? Hai già contattato quelli che da anni se ne interessano?

C. - Su questa questione non so molto, se non quello che si può sapere leggendo “Il segreto di Nadia B.”. Con la direttrice del Fondo ho un ottimo rapporto, vado spesso a consultare i documenti; è molto disponibile e preparata.

L. - Parlo di Campailla, Magris, Calasso, oltre all'Istituto per gli incontri culturali mitteleuropei. Mi sembra di aver capito che il problema non è su come far funzionare il futuro Centro, ma quello che oggi purtroppo assilla la cultura ad ogni livello, l'insostenibilità economica. Perché non chiedi un aiuto a tutti gli amanti, i sostenitori e gli studiosi del nostro goriziano?

C. - Sto provando a fare di tutto, ma i cittadini hanno già difficoltà economiche, figuriamoci chiedere loro anche un contributo in denaro! I soldi ci sono, ma è tutta una questione di scelta politica e amministrativa. Certo, qui ne servono tanti, ma credo che la Regione, la Provincia, il Comune insieme... Più le fondazioni e i futuri investitori…Qualcosa possano fare. Ma ovviamente… Vale solo se “insieme”… Altrimenti rimane una spesa esorbitante per ciascuno.

L. - Il tuo motto è “Save the loft”.

C. - “God save the loft!”; anche se ora l’ho ampliato in “God save the loft and… proprio tutto Palazzo Paternolli!”.
 

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Petizione diretta al Presidente della Repubblica

Chiara Pradella su TG3 Gorizia

 

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