RECOVERY FUND E CRISI LAVORO
Ottimismo del governo, ma sono preoccupanti i dati ISTAT sul lavoro
Cos’è e come funziona il Recovery Fund? Il Presidente Conte lo definisce: “un fondo per la ripresa con titoli comuni europei per finanziare la ripresa di tutti i Paesi più colpiti, tra cui l’Italia”. Il suo funzionamento è stato definito dal Consiglio europeo di luglio e prevede un piano da 750 miliardi di euro divisi in 390 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti. I soldi saranno reperiti con una emissione di debito garantito dall’UE e arriveranno soltanto nel primo trimestre del 2021. In autunno, l’Italia, come ogni altro Paese, dovrà presentare il piano nazionale di riforme 2021-2023, al quale sarà subordinata l’erogazione dei fondi del Recovery Fund.
Il piano verrà valutato dalla Commissione europea entro due mesi dalla presentazione e dovrà essere approvato, entro quattro settimane, dal Consiglio europeo che si esprimerà a maggioranza qualificata su proposta dell’esecutivo UE (15 paesi su 27 devono votare a favore e gli Stati che appoggiano la proposta devono rappresentare almeno il 65% di tutta la popolazione dell'UE). La Commissione richiederà al comitato economico e finanziario un parere sul conseguimento degli obiettivi dei piani, sia intermedi che finali. In base a quanto previsto dall’accordo sul Recovery Fund, l’Italia porterà a casa 208,8 miliardi di euro dei quali, 127,4 miliardi in prestiti e 81,4 miliardi in trasferimenti.
Ovviamente si dovranno pianificare le riforme necessarie per adeguarsi alle raccomandazioni dell’UE e a rilanciare l’economia. Sembra che questo, collegato al fatto che sarà ulteriormente prorogata la sospensione del patto di stabilità prevista inizialmente per tutto il 2020, sia la panacea dei guai finanziari del nostro paese. Ma non è così per due motivi: il primo perché comunque ci indebitiamo ulteriormente, e i debiti prima o poi bisogna pagarli, e il secondo perché gli altri paesi europei, se non facciamo dei piani di riforme credibili e fattibili, non ci faranno ulteriori sconti e non rischieranno di dover far pagare ai loro cittadini i nostri debiti. Questo sarà quindi l’ultimo treno per l’Italia, per poter riformare seriamente il paese.
Le riforme più urgenti richieste da imprese e professionisti sono quella del fisco e del lavoro con semplificazione e sburocratizzazione delle procedure, e quella della giustizia per snellire e accorciare i processi. Queste riforme vanno però inquadrate in una visione più ampia sul futuro del paese perché, come già scritto in questo mio articolo, non basta concentrarsi sui singoli progetti, ma bisogna guardare come questi influenzano l’evoluzione del sistema complessivo, portandolo a dei risultati anziché ad altri, e su quali si può agire per ottenere l’evoluzione verso gli obiettivi desiderati. Nella elaborazione di questi piani di riforme, non si può che partite dallo stato attuale e, per quanto riguarda il lavoro, i numeri ISTAT del secondo trimestre, a seguito del Covid-19, ci dicono che sono stati persi 841.000 posti di lavoro di dipendenti e lavoratori autonomi, dei quali 416.000 sono di giovani con meno di 35 anni.
Questo dato riguarda i contratti a termine e del lavoro dipendente, mentre quelli a tempo indeterminato sono stati salvati con il blocco dei licenziamenti. Per molti di questi lavoratori, purtroppo il conto arriverà alla fine del blocco. I settori più colpiti sono stati ovviamente il turismo, il commercio, gli alberghi e la ristorazione. Una cosa preoccupante riguarda i giovani perché, nella fascia 15-34 anni la disoccupazione è salita al 16,3% e l’inattività ha raggiunto il 53,3%. Le preoccupazioni dei professionisti sono tante, visto che dopo la protesta dei Consulenti del lavoro del 29 luglio scorso, i commercialisti, che hanno revocato lo sciopero in programma dal 15 al 22 settembre prossimi, perché hanno ricevuto promessa dal Ministero dell’Economia e delle finanze di una moratoria sulle sanzioni per i ritardati pagamenti delle liquidazioni delle imposte in scadenza il 20 agosto, hanno chiesto un maggiore coinvolgimento dei commercialisti stessi nelle scelte di politica economica, prima fra tutte la riforma del sistema fiscale.
Ma le preoccupazioni sono tate anche nelle imprese, che si trovano a dover far fronte nei prossimi 15 giorni, come rileva la CGIA di Mestre, a circa 187 versamenti, oltre alla presentazione di 2 comunicazioni e 3 adempimenti. La parte consistente delle imposte da versare riguardano l’Iva, i contributi previdenziali, l’Ires, l’Irap e il saldo/acconto Irpef. E per restare in tema di riforma del fisco, sempre la CGIA di Mestre, fa notare che negli ultimi 40 anni, la pressione fiscale è salita in Italia dell’11%, visto che nel 1980 era al 31,4%, ed ora è del 41,4%, con la punta massima nel 2013 con il 43,4% a seguito della reintroduzione della tassa sulla prima casa, dell’aumentato dei contributi Inps sui lavoratori autonomi, l’inasprimento del prelievo fiscale sugli immobili strumentali e l’aumento del bollo auto. Ecco perché abbiamo urgenza di riforme e questa volta forse, siamo costretti a farle davvero se vogliamo i soldi del Recovery Fund. Verrebbe quasi da dire “menomale che l’Europa c’è”.
di Claudio Bottos
(Consulente del lavoro e di direzione strategica aziendale)