Rafah, al confine tra la vita e la morte
Rachele Scarpa, deputata del Pd trevigiano, racconta la sua esperienza
| Annalisa Milani |

TREVISO - Rachele Scarpa, rientrata a Treviso lunedì 19 maggio, racconta la sua esperienza di essere stata tra i 60 — parlamentari, giornalisti e rappresentanti di ONG italiane — che hanno raggiunto il valico chiuso di Rafah, tra Egitto e Gaza. Era rimasto l’unico cancello, pur controllato, che permetteva l’entrata di di aiuti alimentari e sanitari alla prigione a cielo aperto di Gaza. Il 2 marzo 2024, il governo israeliano lo ha bloccato.
Come è andata, Rachele, in questo tuo secondo viaggio verso la disperazione del territorio di Gaza?
“Siamo arrivati al Cairo, dove, anche lì, abbiamo incontrato — il 16 maggio — la disperazione dei rifugiati palestinesi e dei giornalisti palestinesi. Poi, il 17 maggio, in 12 ore di viaggio in pullman, attraversando il Sinai, siamo arrivati alla cittadina più vicina al valico. Il giorno dopo, domenica 18, alle 9 del mattino, eravamo di fronte al valico blindato. È chiaro che ti senti angosciato, perché a pochi metri, dall’altra parte del muro, senti il rumore delle bombe e sai che qualcuno sta morendo — e sta morendo anche di fame — mentre, da questa parte del muro, la Mezzaluna Rossa egiziana ha creato immense strutture di stoccaggio per gli aiuti umanitari. Chilometri e chilometri di camion non potevano più restare in fila ad attendere. Aiuti bloccati, fame e burocrazie vengono utilizzati come armi di guerra”.
Di fronte a quel muro che sentimenti hai provato?
“Rabbia e impotenza. Rabbia per le chiacchiere dei governi, perché tutti sono capaci di dire “cessate il fuoco”, ma non si fa quasi nulla oltre. I governi, compreso il nostro, non riescono a intervenire al di là della facciata, perché ci sono troppi legami commerciali, economici, di interesse reciproco. Abbiamo visto che, anche lì dove ci sono pressioni politiche, il governo di Netanyahu va avanti lo stesso, contro qualsiasi norma internazionale”.
C’è qualche piccola crepa all’interno della popolazione israeliana? La vedi anche tu?
“Ovviamente l’attenzione e il cuore sono tutti rivolti verso la tragedia e l’orrore palestinese, ma noi dobbiamo fare anche uno sforzo di dialogo con quei pezzi — seppur minimali — della realtà israeliana che non sono d’accordo con Netanyahu”.
Da questo viaggio le emozioni più dirompenti?
“Le emozioni che mi porto dietro sono gli sguardi dei rifugiati palestinesi al Cairo, e i suoni delle voci di una classe di bambini palestinesi che hanno voluto regalarci, nonostante tutto, delle canzoni palestinesi. Bisogna esserci per capire!”.
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