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25 aprile 2024

Vittorio Veneto

QUAL E' IL COLMO PER UN BARBIERE?

Incontro (irresistibile, fidatevi) con Sergio-Poldelmengo-da-San-Giacomo (in arte - e in sacramento battesimale – Tito). Barbiere di professione (in pensione) meglio noto come “don Fumino”, come “Tito el sacrestan”, come “la Perpetua”, come Marta Marzotto

| Emanuela Da Ros |

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| Emanuela Da Ros |

QUAL E' IL COLMO PER UN BARBIERE?

Vittorio Veneto - Qual è il colmo per un barbiere? Mentre ci pensate (fate con comodo: l’articolo è abbastanza lungo), vi distraggo raccontandovi vita, battute e miracoli di un barbiere che di colmi ne ha un campionario (o un questionario).

Il barbiere/parrucchiere in questione si chiama Sergio Poldelmengo (nella foto, con il figlio). E’ nato il primo agosto del 1933, abita a San Giacomo e fa parte di una teoria di generazioni di barbieri/parrucchieri inaugurata dal nonno Domenico (pure lui sangiacomese) che aveva aperto il primo negozio di barba&capelli nel 1878.

Sergio Poldelmengo, in realtà, avrebbe dovuto chiamarsi Tito. Se non che, quando i suoi genitori sono andati in chiesa per battezzarlo si sono trovati di fronte a un parroco che (come don Abbondio) ha detto no. Cioè ha scartato i venti nomi che i genitori di Sergio eccetera proponevano loro e ha detto: “No. Questo bimbo s’ha da chiamare Tito”.

E Tito, cioè Sergio, cioè questo piccolo Poldelmengo, è diventato Tito ma pure il suo doppio, cioè Sergio.

E se – a questo punto – vi ho fatto girare la testa (non le scatole: sia mai!) un motivo c’è. E c’è pure una spiegazione sul fatto che Poldelmengo da una vita è – pirandellianamente - uno e tantissimi altri personaggi: da don Fumino a Marta Marzotto. A se stesso.

Sergio Poldelmengo, d’ora in poi: Tito, ha avuto dalla vita tre doni.

Il primo: un’innata predisposizione alla bonomia (all’asilo, quando esordiva con qualche battuta, i compagni gliela facevano ripetere due o tre volte); una comunità-claque (quella di San Giacomo che poi ha allargato i suoi confini al Veneto) e la moglie Flora (che non conosciamo) ma che secondo Tito “è allergica alle sue battute”, tanto che se ne tiene talmente alla larga da consentire al marito di collezionarle come se fossero le “altre” compagne della sua vita.

Tito Poldelmengo è noto ovunque per le sue barzellette (“L’ultima di Tito”, oltre che un passepartout da conversazione tra amici, è il titolo di un libro) ma è apprezzato anche per il suo talento teatrale: spesso infatti lo chiamano a feste, manifestazioni, matrimoni per recitare qualcuno dei personaggi che interpreta da una vita (il prete Don Fumino, il sacrestan “che’l beve finché l’ha al fiasco in man”, la Perpetua o appunto la Marzotto.

Tito l’attore ha iniziato a farlo da ragazzino, quando ha avuto una particina nel Sior Todero Brontolon allestito al teatro di San Giacomo, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. E da lì, tra un taglio di capelli e una barzelletta (“Un’anziana signora va dal medico e, preoccupata, gli dice: “Dotòr, dotòr: quando che fae l’amor, sente un fiscio.” Al che il medico risponde: “Cara siora, a’a so età, cosa pretendea? Che i ghe bate anca le man?”), Tito ha composto un repertorio di battute che toccano proprio tutti i temi.

“Di barzellette – dice Tito – ne ho per tutti i gusti e le professioni: dai carabinieri (un classico) agli avvocati, ai preti. Passando per la politica, che è il tema che suscita risate e anche malumori”.

Un esempio? “Andreotti, che non morirà mai, decide di suicidarsi. E infatti lo trovano appeso al lampadario con una corda stretta attorno ai fianchi. Chi lo soccorre, gli chiede che cosa avesse subodorato di fare e lui ammette di aver avuto l’intenzione di togliersi la vita, “se non che – dichiara Andreotti in puro dialetto veneto - quando che ho mes la corda intorno al col no me vegnea al fià”.

Ma si può ridere anche di tematiche serie? “Certo. Alla festa dell’Avis i ride par ‘na battuta ormai nota. Cosa dice una goccia di sangue che durante una trasfusione cade a terra? Dice: oggi non sono in vena”.

Le barzellette sporche vanno ancora di moda? “Ne racconto una. Adesso i futuri sposi vanno a scuola pre-matrimoniale. Seguono lezioni molto interessanti nelle quali vengono edotti su quello che devono e non devono fare prima di pronunciare il fatidico sì. Alla fine di queste lezioni un catechista chiede se i futuri sposi abbiano delle domande e un ragazzo chiede: “Visto che non posso avere un rapporto completo con la mia futura moglie prima delle nozze ho qualche modo alternativo per farla felice?” Al che il catechista risponde: “Sì: puoi darle dei bacini vicino al posto dove fa pipì”. Il neosposo si gratta la testa, rialza la mano e chiede: “Ma…ma…posso fermarmi alla tavoletta del water o devo andare anche sulle piastrelle?”.

Buonumore e istruzione? “La maestra della scuola Sauro, appena inaugurata a San Giacomo, chiede agli scolari di scrivere un breve pensiero con la parola “temo”. Giuseppe scrive: “Le nuvole in cielo sono pesanti: temo che pioverà”. Franco scrive: “Ho scordato di fare i compiti, temo che prenderò una nota”. Toni scrive: “Vedo mio nonno uscire di casa col New York Times. Siccome non sa una parola di inglese, temo che andrà a cagar”.

Si può ridere della disoccupazione? “Ernesto, dopo tanti anni di precariato ha finalmente un impiego. E snocciola un sorriso a 32 denti. Un amico gli chiede che occupazione abbia trovato e Ernesto risponde: “Ho fat fortuna. Pensa che ho 5 mia persone soto de mi.” Davvero? Ma che razza di impresa hai messo in piedi? “Ho avù l’appalto par al taglio dell’erba al zimitero”.

Per farmi del male (dopo risate che mi hanno fatto inumidire gli occhi e sciogliere il mascara: non si dovrebbe ridere di gusto dopo essersi truccati) chiedo a Tito una barzelletta sui giornalisti. Lui ci pensa un attimo e dice: “Il colmo per un giornalista? Avere le braghe col doppio cavallo”. Io non rido (perché non la capisco). Lui ci resta un po’ male, mi guarda perplesso e ribatte: “Forse l’era massa piccante”.

Non indago oltre. Saluto Tito (occhi velati da lacrime indotte da sane risate) e lo lascio nel negozio di barbiere vecchio quasi come l’unità d’Italia.

Poi mi viene in mente che c’è un colmo in sospeso sopra le nostre teste. Qual è il colmo per un barbiere? “Radere al suolo i clienti”.

 


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