Putin: il declino di un uomo improvvisamente solo
Cosa sta succedendo in Russia e perché? Ce lo racconta chi vive a Mosca
Manuel Tadiotto, che da vent'anni vive tra Mosca e Vittorio Veneto, traccia un’analisi approfondita della situazione
MOSCA - Quali siano le reali motivazioni che abbiano spinto Putin ad invadere il territorio sovrano ucraino sono davvero difficili da comprendere. Probabilmente questa è la domanda che la maggior parte degli analisti politici e anche dei comuni cittadini si sta ponendo e la sensazione, almeno ad una prima lettura, è che il presidente russo abbia fatto male i propri calcoli. Su Vladimir Putin però si possono dire tante cose, ma non certo che sia un politico sprovveduto o quanto meno, che lo sia stato. Arrivato al Cremlino quasi sconosciuto e senza esperienza politica, governa da 23 anni con potere incontrastato, un paese complicato, multietnico e vastissimo, riuscendo fin da subito ad instaurare un regime duraturo, di pieno controllo sul territorio, ottenuto con abilità ed insediando parenti e amici fidatissimi nei principali centri del potere. Un governo certamente autarchico ma con un largo consenso sia nell’entourage politico sia in quello dei vertici imprenditoriali, conseguito proprio grazie alla corruzione diffusissima che ha permesso all’élite del paese di accumulare enormi ricchezze ma che allo stesso tempo la anche resa ricattabile. La corruzione quindi come arma di approvazione, ma soprattutto come mezzo di ricatto e conseguentemente di dominio sulle persone ed il controllo, quasi assoluto, anche sui mezzi di informazione, con una raffinata macchina di propaganda e con la censura, a volte violenta, della voce di dissenso. Una persona carismatica, differente dai leaders che lo avevano preceduto al Cremlino, con una retorica nazionalista e sovranista che è riuscita a fare breccia nelle pance degli elettori, soprattutto di provincia, ma anche oltreconfine. Putin ha dato quindi ampia dimostrazione di sapersi ben districare nelle trame della politica e non certo la più nobile.
Perché quindi affrontare i rischi derivanti dall’invasione di un territorio sovrano, e perché proprio ora?
Al di là quindi delle sensazioni e degli umori risulta indispensabile analizzare ciò che di oggettivo riusciamo a ricavare dalla situazione politica attuale.
La decisione di entrare nel territorio ucraino e di demilitarizzare il paese non è certamente stata presa nelle scorse settimane. Un’operazione tale richiede una lunga preparazione e bisogna dare quindi merito all’intelligence americana che, in tempi non sospetti, già nell’autunno del 2021, segnalava che lo Stato Maggiore dell’esercito russo fosse concentrato nella pianificazione di un’invasione su larga scala dell’Ucraina. Pertanto la motivazione di una recente escalation della tensione in Donbass, con un aumento delle vessazioni dell’esercito ucraino sulla popolazione russofona e la necessità del Cremlino di intervenire in aiuto, appaiono poco credibili. La situazione in Ucraina è infatti immutata dal 2014, da quando la Russia ha annesso la penisola di Crimea e da quando il Donbass è diviso da un confine invisibile, con l’esercito ucraino ad ovest e le milizie filorusse ad est. Peraltro è è indicativo che in tutti questi anni, le repubbliche autoproclamatesi indipendenti del Donbass, non avessero nemmeno ottenuto il riconoscimento ufficiale proprio della Federazione Russa. Riconoscimento ottenuto solo a febbraio di quest’anno e strumentale alla giustificazione del successivo ed immediato intervento militare. Per la Crimea per esempio la situazione fu ben diversa, tanto che la penisola non venne solamente riconosciuta ma bensì annessa immediatamente allo Stato russo. Questo perché le ragioni storiche e le motivazioni della popolazione residente sono certamente molto differenti. La Crimea è storicamente popolata per la maggior parte da russofoni mentre in Donbass la popolazione è molto più eterogenea, con le sole province ad est ad essere popolate prevalentemente da etnia russa. Proprio per questo in Donbass non c’è stato solamente un conflitto fra esercito ucraino e milizie filorusse ma una vera e propria guerriglia urbana fra gli stessi civili. Questa differenziazione è molto chiara alla Russia che pertanto aveva adottato per il Donbass un approccio molto più cauto, almeno fino ad oggi. Oltre a questo non vi erano alcune prove di un recente acuirsi delle tensioni nella regione ne tantomeno di supposta aggressione contro la popolazione russofona. L’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa non hanno mai trovato prove di un genocidio nella regione del Donbass. Al contrario, nel 2021, un rapporto dell’Alto Commissario, aveva rilevato vari abusi, tra cui gravi restrizioni alla libertà di movimento, l’imposizione della cittadinanza russa, il divieto per gli esperti di visitare detenuti e arresti arbitrari, ma da parte delle repubbliche separatiste filorusse di Donetsk e Lugansk. La recente e repentina necessità di intervenire militarmente in Ucraina per liberare le popolazioni filorusse da una presunta e continua aggressione dell’esercito ucraino non ha reali riscontri.
Un’altra tematica ricorrente nei discorsi di Putin è che il governo ucraino sia composto da nazisti russofobi e che sia pertanto indispensabile risanare la politica del paese liberandolo da questa deriva razzista.
Ma cosa c’è di vero in queste parole?
In Ucraina esistono vari movimenti radicali di destra, questo è innegabile, tuttavia gli stessi non godono di una rappresentanza politica di rilevo. Alle elezioni politiche del 2014, “Svoboda” unico partito di estrema destra, ha ottenuto il 4,7% dei voti e alle elezioni presidenziali del 2019 il loro candidato ha ottenuto solo l’1,6% dei voti. Inoltre, l’attuale presidente ucraino Zelenskiy è ebreo. Sembrano pertanto poco credibili le accuse di nazismo rivolte alla leadership politica del paese. Per paradosso invece, in Russia, esiste fin dalla formazione del paese, nel 1991, un partito di estrema destra, “LDPR”, che costantemente supera lo sbarramento necessario per accedere al parlamento. Il loro leader Vladimir Žirinovskij, noto per la retorica nazional-populista si è fatto negli anni latore di continue esternazioni razziste e sessiste ed è stato addirittura vice-presidente della Duma di Stato. Oltre alle rappresentanze parlamentari in Russia vi è anche un movimento di strada molto numeroso, sullo stile “naziskin” simile ai corrispettivi europei. Molto spesso le minoranze caucasiche e asiatiche vengono prese di mira da queste bande di strade con vere e proprie retate, niente di diverso quindi da una fenomenologia sociale minoritaria che è comunque presente sia da una parte sia dall’altra. L’enfatizzazione russa di una deriva nazista in Ucraina appare quindi unicamente strumentale alle motivazioni belligeranti del Cremlino.
L’ingresso nella NATO dell’Ucraina è il casus-belli forse più importante adottato dal presidente Putin per giustificare la necessità di un intervento militare in territorio ucraino. Innanzitutto bisogna sottolineare che la NATO negli anni si è sempre dimostrata poco favorevole all’allargamento dell’alleanza all’Ucraina proprio perché quest’ultima presenta chiare recriminazioni territoriali che le impedirebbero l’ingresso. Oltre a questo non bisogna dimenticare che se anche ci fosse un’adesione di Kiev alla NATO, l’alleanza non si avvicinerebbe a Mosca più di quanto non lo sia già. La NATO è già ai confini della Russia. Le repubbliche baltiche sono ugualmente distanti da Mosca quanto l’Ucraina e sono membri della NATO da 18anni. La Turchia è anch’essa membra NATO e dista dai confini russi di qualche centinaio di chilometri. Gli stessi USA confinano con la Federazione Russa ad est tramite lo stretto di Bering. Anche la CINA è una potenza nucleare e condivide migliaia di chilometri con la Federazione Russa. Il Cremlino forse dovrebbe invece chiedersi perché nel nuovo ordine mondiale, un paese con enormi potenzialità economiche, non sia riuscito a stimolare alcuna attrattiva all’estero né a generare una sorte di alleanza politico-militare e rimanga invece relegata a relazioni diplomatiche con una manciata di nazioni “paria”. Mosca dovrebbe chiedersi perché la maggior parte delle nazioni che hanno avuto rapporti storici con Mosca nutrano sentimenti così fortemente russofobi.
Ma quali sono le conseguenze di questo intervento militare e quali erano i calcoli di Putin alla vigilia dell’invasione?
Innanzitutto è ragionevole credere che Putin abbia avviato nei scorsi mesi dei contatti con alcuni paesi, per comprendere quali avrebbero potuto essere le loro reazioni e quanto ampio avrebbe potuto essere all’estero il sostegno politico e forse anche militare alla Russia. In questo contesto la figura più importante dal punto di vista politico è rappresentata indubbiamente dalla Cina. Quasi sicuramente il presidente cinese era stato avvisato da Putin dei piani russi di invasione ed è molto probabile che il Cremlino abbia ottenuto, se non il sostegno, quantomeno la promessa che la Cina non avrebbe interferito con il conflitto. Sul fatto che vi sia stato un accordo di massima fra le due potenze, anche se non vi sono prove, pare davvero difficile dubitare. La Cina è oramai un interlocutore imprescindibile e soprattutto un membro del Consiglio di Sicurezza ONU. Inoltre Putin è ben consapevole delle intenzioni cinesi di annettere Taiwan e pertanto sapeva che difficilmente la Cina avrebbe obiettato sulle intenzioni medesime di Mosca con i territori ucraini. È probabile che l’unica richiesta del presidente Xi Jinping sia stata quella di attendere la fine delle Olimpiadi di Pechino. Oltre alla Cina è lecito pensare che anche la Bielorussa fosse stata informata. Lukashenko ha reso disponibile il proprio territorio alle armate russe affinché potessero entrare in Ucraina da nord. La Bielorussia è pertanto complice di Mosca nell’operazione militare. Una tale concessione non viene data facilmente, quindi anche in questo caso è lecito pensare che il governo di Minsk fosse pienamente al corrente dei piani di invasione da mesi. Un altro stato che molto probabilmente è stato interpellato è il Kazakhstan, alleato storico di Mosca e che a gennaio era addirittura ricorso proprio all’esercito russo per sedare le rivolte di piazza.
Come vedremo più avanti tutti e tre questi paesi in realtà non hanno reagito come avrebbe sperato Putin, ma l’errore di calcolo più grave del presidente russo potrebbe essere l’aver sopravvalutato l’efficienza militare del proprio esercito e l’aver sottovalutato la possibilità di coesione dei paesi occidentali in una coalizione economico-commerciale contro Mosca.
La non avanzata dell’esercito Russo
Dopo due settimane di conflitto e massicci bombardamenti delle prime ora su obiettivi militari in tutto il territorio ucraino, l’esercito russo non è riuscito a conquistare una sola città importante, nemmeno le sud-orientali Mariupol e Odessa. Mosca secondo stime indipendenti avrebbe perso 130 carri armati, 84 blindati, oltre 170 mezzi per il trasporto delle truppe, 18 lanciatori di razzi multipli Katiusha, 10 aerei, 11 elicotteri, centinaia di camion ed una cifra enorme di caduti, si parla di 10 mila soldati. Minori, in apparenza, le perdite di Kiev: 46 carri armati, 35 blindati, una cinquantina di mezzi per il trasporto truppe, 8 aerei, 64 veicoli per la logistica, mentre non sono calcolabili per il momento le perdite fra soldati e civili che potrebbero essere altissime. Ovviamente queste sono cifre difficilmente confermabili ma la delusione di Mosca per la lenta avanzata del proprio esercito è evidente. In rete ci sono centinaia di video di colonne corazzate in fumo e decine e decine di video di soldati russi prigionieri. Negli ultimi giorni ci sono state più di 100mila arruolamenti fra giovani e civili ucraini che hanno impugnando le armi per difendere la sovranità dell'Ucraina e l’esercito ucraino così come la popolazione stessa sono risultati molto più ostinati nel combattere l’occupante di quanto si aspettasse Mosca. D’altronde la motivazione di chi difende la propria terra non è paragonabile a quella di chi invade un territorio straniero. Inoltre Putin non è riuscito ad ottenere il sostegno militare del Kazakhstan che si è dichiarato neutrale, ne tantomeno della Bielorussia, cosa quest’ultima inaspettata e che con molto probabilità deve aver indispettito il Cremlino. Non è facile capire cosa stia pensando Lukashenko, ma si possono interpretare le informazioni che giungono da Minsk. Le recenti dimissioni del Capo di Stato maggiore bielorusso potrebbero infatti essere un rifiuto alla richiesta della presidenza di preparare le truppe del paese ad un intervento in Ucraina. Pare quindi che il malcontento dei generali, preoccupati anche dalla sorprendente resistenza delle forze armate ucraine, abbia spinto il presidente Lukashenko a ritrattare il proprio intervento militare e a concedere unicamente supporto logistico in territorio bielorusso.
L’inaspettata coesione dell’occidente
La risposta dell’Europa all’intervento Russo è probabilmente insieme ai deludenti risultati dell’esercito di Mosca ciò che più ha sorpreso Putin. Tutti i paesi del vecchio continente insieme agli USA e alle più grandi economie del mondo, eccezione fatta per la Cina e per l’India, si sono ritrovate straordinariamente coese ed unite nell’intraprendere una più moderna forma di guerra contro la Russia. Quella commerciale. I risultati sono già evidenti, l’economia russa è quasi in default, la borsa rimane chiusa per i timori di un collasso senza precedenti, il rublo è in caduta libera. Il recente voto sulle sanzioni alla Russia ha inoltre impietosamente manifestato l’isolamento politico di Putin. La sessione straordinaria dell’Assemblea delle Nazioni Unite ha ufficialmente palesato quali siano ora gli unici paesi allineati con Mosca. Su 180 paesi votanti solo quattro, Siria, Eritrea, Bielorussia e Corea del Nord hanno espresso voto contrario. La Russia è quindi ora isolata all'Onu e Mosca nelle ultime ore sta venendo abbandonata anche dagli alleati più vicini: i membri dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e della Shanghai Cooperation Organisation. Una sorta di nuova alleanza militare in stile ex-patto di Varsavia. Putin negli ultimi giorni ha insistito per convocarne un’udienza d’urgenza sotto l’egida di Pechino, ma nessuno dei membri ha risposto positivamente.
La solitudine di un uomo
Sono molte le voci secondo le quali il presidente Putin non goderebbe di buona salute. Certamente sia l’atteggiamento sia le esternazioni recenti e soprattutto le decisioni politiche non sembrano essere in sintonia con il suo caratteristico comportamento. Già nei mesi scorsi, con la crisi del gas e con il suo spaventare l’Europa agitando il più volte collaudato spauracchio delle saracinesche, aveva manifestato un’inusuale mancanza di lungimiranza politica, confermandosi per l’ennesima volta un fornitore poco affidabile e riuscendo ad ottenere ciò che oramai anche in Italia sembrava una chimera. Un’indispensabile revisione nell’approccio alla transizione ecologica del nostro paese. Putin è riuscito a modificare completamente le scelte di una classe politica, che soltanto qualche anno fa si era detta addirittura contraria al TAP per tutelare un centinaio di ulivi e che ora, non solo ne vorrebbe un raddoppio, ma ritiene necessario implementare la trivellazione per sfruttare quel poco gas che il nostro sottosuolo può darci. Come noi tutta l’Europa ora si sta prodigando per azzerare la propria dipendenza dal gas russo. Putin con i suoi ricatti sulle forniture può aver messo in crisi il continente nel breve termine ma ha ottenuto il risultato di aver perso il suo mercato più importante negli anni a venire. Anche le recenti dichiarazioni di un’Ucraina che storicamente appartiene alla Russia, quando in realtà la storia dice proprio il contrario, o le accuse al governo di Kiev di essere una banda di drogati e nazisti sembrano rivelare mancanza di equilibrio. La decisione di bloccare l’accesso ai social network affinché la popolazione non possa diffondere il proprio dissenso, la chiusura delle testate di informazione libera, l’idea di scollegare l’intero paese dalla rete internet esterna e le immagini di lui che da mesi parla con il proprio entourage ad una notevole distanza di sicurezza e che incontra Macron seduto a 10metri di distanza, sono indicative di una paranoia evidente.
I possibili sviluppi
Non credo Putin possa fare un passo indietro. Arretrare significherebbe la sconfitta militare e politica, la fine della sua carriera. Non è nella sua indole, non per come lo abbiamo conosciuto, tantomeno ora che sembra aver perso il suo intuito politico e non appare più tanto lucido nelle sue decisioni. Non credo nemmeno che si possa chiedere al popolo ucraino di deporre le armi per evitare migliaia di vittime. Io comprendo e sostengo chi vuole difendere il proprio territorio da un invasore che non riconosce. Comprendo Garibaldi e Mazzini e i nostri avi che combattevano nelle guerre d’indipendenza per liberare il nostro paese e sono fiero che non abbiano deposto le armi e che siano riusciti a darci la possibilità di poter decidere il nostro destino. Io non credo che si debba assecondare Putin in questo suo anacronistico e maniacale panrussismo. La storia ci insegna, nella storia tutto è già successo. Nel 1938 alla Conferenza di Monaco, Neville Chamberlain, il primo ministro britannico, per evitare spargimenti di sangue cedette alle pressioni di Adolf Hitler, che così annesse al Terzo Reich, dopo l’Austria, anche la regione cecoslovacca dei Sudeti. Tutti sappiamo come andò a finire un anno più tardi, con una nuova recriminazione, l’invasione della Polonia e decine di milioni di morti. Non credo però sia nemmeno opportuno in questo momento, mettere all’angolo un uomo disperato e che nella sua disperazione potrebbe farci male. Si può pertanto ritenere opportuno ora che la Polonia ceda i suoi caccia all’Ucraina, che la Turchia chiuda lo stretto del Bosforo o che l’Europa dichiari una no-fly-zone sui cieli di Kiev? Io non credo. L’esercito russo deve lasciare il territorio ucraino, questo è chiaro, ma se io dovessi incrociare per strada una persona instabile e che mi agita contro un coltello, forse la cosa più giusta che dovrei fare e cercare di tranquillizzarlo ed evitare di provocarlo. Credo sia necessario ora essere ragionevoli laddove è corretto esserlo. Se è per noi giusto ed imprescindibile che il popolo ucraino debba poter decidere il proprio futuro senza la prevaricazione di un vicino più potente, per lo stesso diritto di un popolo all’autogoverno, l’Europa dovrebbe ridiscutere lo status delle provincie a maggioranza russofona del Donbass e riconoscere la penisola di Crimea come regione della Russia. In fin dei conti è questa la volontà della maggior parte dei locali. Questo approccio potrebbe anche dare a Putin la possibilità di un ritiro onorevole dall’Ucraina ed evitare un pericoloso allargamento del conflitto. Non è ora tanto importante far valere le proprie ragioni e dare del pazzo a chi abbiamo di fronte, quanto essere saggi e prendere la decisione giusta.
di Manuel Tadiotto
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