PRECARIETÀ E FLESSIBILITÀ
Due facce della stessa medaglia?
| Claudio Bottos |
LAVORO - Da tempo, ma soprattutto in questi giorni, sento molto parlare di precarietà nel mondo del lavoro e delle imprese. Se andiamo sul vocabolario Treccani e cerchiamo il termine precarietà leggiamo: L’essere precario, condizione o stato di ciò che è precario; instabilità, insicurezza, incertezza: la precarietà del posto di lavoro, della situazione economica […]. Ho pensato a come possiamo vedere la stessa cosa con un’ottica diversa. Mi sono venute in mente le esigenze delle micro, piccole e medie aziende e la continua e veloce variazione dei mercati in cui operano. Mi sono chiesto perché, se parliamo di aziende che si devono adeguare ai cambiamenti di un mercato sempre più instabile e incerto usiamo il termine flessibilità, se invece parliamo di lavoro usiamo il termine precarietà? Sempre sul vocabolario della Treccani, per il termine flessibilità si legge: La proprietà o la caratteristica di essere flessibile, facilità a piegarsi, e, in senso fig., a variare, a modificarsi, a adattarsi a situazioni o condizioni diverse […]
Leggendo i due significati potremmo usare il termine precarietà anche per le imprese vista l’instabilità e l’incertezza del mercato? Gli imprenditori mi dicono che non esiste più la programmazione della produzione a lungo termine, i tempi si sono accorciati molto e i clienti vogliono la merce subito. Basta pensare a noi stessi quando facciamo un acquisto online e pretendiamo di avere la merce nel giro di poche ore. Magari pensiamo settimane prima di decidere l’acquisto di un prodotto ma, quando abbiamo preso la decisione, pretendiamo di averlo velocemente. Le aziende si devono adattare a queste nuove regole, e spesso non sanno per quanto possono produrre alcuni articoli, o se i loro prodotti avranno o meno ancora un mercato. Vero è che internet ha aperto agli acquisti in tutto il mondo ma, contemporaneamente, oltre che condizionare gusti ed esigenze dei clienti ha aperto anche ad una maggiore concorrenza. Per questi motivi le imprese sono chiamate ad essere flessibili, perché si devono innovare e adattare ai cambiamenti veloci del mercato. Sappiamo che le imprese, in modo particolare le micro, piccole e medie, al di là delle infrastrutture, si reggono sul capitale umano. Come possono le imprese essere flessibili se anche il capitale umano di cui dispongono non è flessibile? visto che quasi sempre sono le persone a fare le imprese. Un’impresa regge nel tempo se produce profitti perché, con quelli, mantiene la continuità aziendale e da lavoro alle sue risorse umane. Quando un’impresa chiude perché fallisce crea un danno non solo ai suoi dipendenti, ma anche alla società, perché deve intervenire con i sussidi per chi resta senza lavoro.
In questo periodo di riaperture, sento molti piccoli imprenditori, non solo dei settori alberghiero e ristorazione, lamentarsi per la carenza di personale. Non trovano dipendenti disponibili a fare i camerieri, i barman, gli impiegati, e mi dicono che soprattutto i giovani rinunciano per motivi di orario e di giorni, perché vogliono libere le serate e i fine settimana per uscire con gli amici, oppure perché pretendono compensi più elevati, di quelli spettanti per legge, senza avere le competenze per meritarli. Molte di queste attività, soprattutto nei luoghi di villeggiatura sono stagionali. Per tutti i lavori servono competenze, se si vogliono fare bene. Altra cosa che mi lascia basito, ogni volta che me lo dicono, sta nel fatto che molti di questi giovani dicono apertamente, nei colloqui di lavoro che, con il reddito di cittadinanza e qualche lavoretto in nero, come ad esempio tagliare l’erba del vicino o altro, non ha senso lavorare ed impegnarsi tutti i giorni per avere lo stesso risultato economico. Personalmente ritengo che avere legato il reddito di cittadinanza alle politiche attive del lavoro, sia stato un errore, e questa situazione fa emergere la necessità di una modifica delle politiche attive, come ho già ha scritto in questo articolo.
Questo dimostra che troppi giovani, come scritto in questo articolo, non pensano al futuro e non mettono in conto ciò che li aspetta quando saranno anziani e andranno in pensione. Con l’ottica dell’impresa anche il dipendente dovrebbe sentirsi ed essere flessibile e non precario. Il termine precario fa venire in mente, un peggioramento, una insicurezza, quindi una negatività, mentre il termine flessibile porta a pensare alla duttilità, alla adattabilità, quindi un aspetto positivo di ricerca, proprio come fanno le imprese per restare nel mercato. Anche le parole hanno un peso sotto il profilo psicologico, per questo, nel campo del lavoro e dell’impresa, eviterei di usare il termine precarietà.
di Claudio Bottos (Consulente del lavoro e di direzione strategica aziendale)