TREVISO - Il timore/spauracchio/panico - il climax quando ci vuole ci vuole - dell’epidemia incoronata non è traducibile in italiano. Gli 890mila residenti nella provincia di Treviso preferiscono esprimerlo con l’idioma locale.

Dobbiamo star chiusi dentro il perimetro di Marca?

Bene: parlèn dia’eto (ci voleva un’emergenza, non una legge per veicolare la pseudolengua veneta). Veo sentì? Iè, par carità! Pezo de cussì…(il seguito sarebbe “se more”, ma preferiamo glissare). E ancora: “Stamatina la Coop l’era ‘n bordel: tuti a far la spesa”.Un’esagerazione? Non proprio. A Vittorio Veneto - qui siamo e re-stiamo - la conseguenza immediata del decreto sigilla provincia non è stata l’assalto al treno (che non c’è).E’ stata la fila alle casse.

 “Appena aperto - dice una dipendente - abbiamo avuto il pienone. Ma siamo in tanti al lavoro e tutto è filato liscio”. Alle 10.30 la situazione infatti era ‘normale’. Casse quasi libere, molti scaffali vuoti. Distanza rispettata tra i clienti, che leggevano con sollecitudine il relativo avviso, collocato tra i broccoli e i carciofi. Impossibile trovare l’oro in gel (leggi: Amuchina; la commessa ci spiega che per il momento non sono previste forniture perché ‘il problema sta a monte’), i guanti di lattice (volevo regalarli alle amiche per la festa della donna in luogo di quel rametto di mimosa prezzato 2.29 euro), l’alcol denaturato, le salviette disinfettanti, l’acqua ossigenata, e ogni soluzione detergente/disinfettante per mani. Nei carrelli soprattutto pane e lavamani, o meglio: pasta (ma non ne abbiamo sempre una quantità indecorosa in dispensa?) e detersivi e rotoloni maxi di carta usa e getta.Oggi, domenica, è andata così. Il prossimo weekend non si sa. L’attuale decreto prevede infatti che i centri commerciali chiudano il venerdì. Varrà anche per i supermercati?