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28 marzo 2024

NOTE DI (FINE) ESTATE

- Tags: estate

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Rossella Tramet | commenti |

Prima la Sicilia.
Il desiderio di calura piena, dell'estate asciutta che sia infinito frinire di cicale. Il senso di giornate a mare, carezzate da acque prima turchine, poi profondamente blu, alternate a distese di mandorli e limoneti.
L'orecchio teso alla parlata verace a crocchio nei caffé, mentre gusti granite e cannoli buoni come nettare ed ambrosia divini, e ti senti in un film di Montalbano.
Le vestigia dello splendore che fu, ad Ortigia, Noto, Ragusa, che sanno di antico, bello e necessario.
(Mentre al Nord si tratta sulla sopravvivenza della Grecia)
Cassibile vicina, ma la resa é ai versi del Poeta: “Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole: ed é subito sera”.
Cuore-terra-sole: e come trafiggono la terra-cuore i raggi del sole qui, non accade altrove.


Poi Venezia, e il Lido.
Ogni giorno un viaggio in battello attraverso la laguna: da un'isola ad un'altra, la bellezza nel ritmo dolce dell'onda, che ti porti dentro anche quando cammini in terraferma.
Venezia-guscio d'acque da rifuggire di giorno quando la folla deturpa, per reincontrarla, magnifica e segreta, la sera. Venusia che la scopri sempre da fuori, nella meraviglia che ti prende alla stazione di S. Lucia o nell'estasi dello sguardo che abbraccia San Marco, di rientro dal Lido.
Venezia che é troppa da dire, peso insostenibile d'oro e pietre preziose, Venessia che se faseva trafeghi dapartuto, col leon che a vardarlo ancuò te mete orgogio e pena.
Venexia decadente signora col rossetto che a te varda de spieco nel vapor diretto al Lido - “tigacapio?”- mentre il mondo frenetico le passa accanto, solchi incomunicabili.
Babele e allucinazione, tradizione e sperimentazione.
Venezia che quando ci sono la conquisto dall’acqua coi mei putei, che ghe conto na storia, a storia de Venessia che no vogio che mora.


E Lubjana, infine.
Una capitale mittleuropea a due ore e mezzo di distanza da noi. Un po' asburgica, un po' francese.
Di ordinata eleganza austriaca, influenzata dallo spirito napoleonico post-rivoluzionario.
Grazia squisita, ma non pretenziosa.
Piccola Berlino, giovane e vivace, ristrutturata ed organizzata, universitaria e internazionale.
Sorprendentemente glocal: gli sloveni hanno rinunciato all'istruzione scientifica universitaria in lingua autoctona, a favore dell'inglese, che tutti conoscono bene.
Mi siedo al Petit Café tappezzato di affiches alla maniera di un bistrot d'Oltralpe e ripenso alle mie tappe estive: dal mare aperto (Mare Nostrum) di Sicilia passando per la Laguna veneta, fino ad un fiume cittadino oltreconfine.
Un climax di acque, nella risalita verso nord.
E' Lubjana la città che mi trasporta nel passato di studentessa Erasmus a Parigi e mi fa assaporare la dolce illusione che tutto sia possibile.
Lubjana una città dell'Europa sognata, cui affiderei il futuro.



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