13 dicembre 2024
Categoria: Spettacolo - Tags: Le Cattive Strade, Andrea Scanzi, Giulio Casale, Intervista, OggiTreviso, Paolo Pandin, Fabrizio De André
Paolo Pandin | commenti |
Quella che state per leggere, è una breve intervista che avevo realizzato ad Andrea Scanzi e Giulio Casale, riguardo Fabrizio De André, dopo lo spettacolo "Le Cattive Strade" (qui il post di gennaio) andato in scena qualche mese fa a Paese (Treviso) presso il Cinetreatro Manzoni.
Chi è per voi De Andrè?
Casale: “E’ “il” cantautore. Quello che per tutti è diventato maestro della canzone d’autore, delle ballate classiche, delle storie esemplari, di contenuti rivoltosi dentro alla realtà. E’ proprio il canone della canzone d’autore in Italia. Io ho detto più volte che chiunque provi a fare questo mestiere, gli deve un pezzo della propria chitarra.”
Scanzi: “Per me De André è un compagno di strada, un maestro e uno che quando se n’è andato ha lasciato un vuoto anche personale, al punto tale che l’anno successivo alla sua scomparsa, mi laureai proprio su De André e su Gaber. E’ un compagno di strada che c’era sempre a casa mia. Fin dai primi anni l’ho sempre ascoltato e credo che abbia, tra i tanti meriti che lo caratterizzano, quello di avere insegnato a tanti suoi spettatori, l’arte di dire le cose perché si devono dire se le provi, l’arte di essere coraggiosi, coerenti, di andare in direzione ostinata e contraria, l’arte di fregarsene del mercato, l’arte di abbinare dei testi straordinari ad una musica altrettanto straordinaria, una cosa che raramente si ricorda di De André ma che per me è decisiva. Se De André si fosse fermato ai testi, pur straordinari, non sarebbe oggi ricordato come il grande De André. Ci sono altri grandi cantautori italiani, che si sono però un po’ accontentati dei loro testi. Lui secondo ma ha avuto anche questo grande merito, quello di non dimenticare la componente musicale, ed è decisivo, soprattutto dalla fine degli anni ’70 in poi.”
I tempi cambiano, ma oggi esiste un’artista che abbia una sensibilità acuta come quella di De André?
Casale: “Probabilmente si, però come dici tu i tempi cambiano, per cui è cambiato tutto, è cambiata la fruizione, la rilevanza delle canzoni, dei testi, è cambiato il valore della musica. C’è musica dappertutto oggi. Non c’è un secondo della nostra vita che non abbia una musica di sottofondo. All’epoca era molto diverso. Ci vuole oggi molto più coraggio da parte di tutti, anche da parte di chi propone la musica e qui il discorso si farebbe lungo e noioso, ma sicuramente quello che va per la maggiore oggi, non prevede una complessità e una profondità così spiccata. Secondo me ci sono ancora testimonianze ed esempi di ricerca e di impegno, altro è quanto queste riescano a diventare patrimonio popolare.”
Scanzi: “Io mi arrabbio molto quando si dice che non c’è più talento nelle nuove generazioni, credo che ce ne sia. Credo anch’io che sia cambiata la fruizione della musica e che sia cambiato il ruolo del cantautore. De André esplode, cresce, si forma, in un momento storico in cui il cantautore aveva una valenza artistica ma anche sociale e politica. Si andava a vedere i concerti dei cantautori, non dico cercando di abbeverarsi dal verbo, però comunque sapendo che su quel palco c’erano dei fratelli maggiori che, o ti indicavano la via o comunque ti insegnavano a pensare. Parafrasando Don Raffaé “Mi spiega che penso e bevimmo u caffè.” Ecco, magari non bevevamo il caffè, ma sicuramente De André ha contribuito a pensare in un certo modo. Adesso il cantautore, in generale il musicista, non ha più quel potere, proprio perché la società è cambiata. Non vuol dire che non ci siano dei talenti. Devo anche dire però che se il metro di paragone è De André, si fa fatica perché si prende il più grande di tutti, sia nella qualità, sia nell’effetto che ha avuto nell’ immaginario e nella cultura popolare. Per me ci sono ancora dei talenti, credo però che De André, Gaber e altri due o tre che soprattutto negli anni ’70 hanno dato il meglio di sé, siano oggettivamente irripetibili, per tutta una serie di aspetti, compresi gli anni in cui sono vissuti e si sono formati.”
Entrambi avete studiato anche Gaber. Cosa accomuna Gaber a De André?
Casale: “Beh, una certa irriverenza, l’ essere scomodi. Probabilmente Gaber è stato talmente poco riducibile all’etichetta, alle bandiere, ai partiti, ai movimenti, che è ancora di più oggi è di difficile divulgazione. De André il realtà è un cantore di Marinella, di Bocca di Rosa, del Pescatore e di mille altre situazioni ha fatto la vicenda esemplare, quindi senza tempo, è un classico. Gaber aveva il gusto, da quando si è messo a fare teatro, di intervenire sul proprio tempo, per cui molte cose sono invecchiate. Però senz’altro lo spirito libero, anarcoide e scevro da qualsiasi idea di potere, gli accomuna molto. Poi li accomuna il fatto che per noi due sono tra i pochi maestri che possiamo aver avuto, i loro esempi sono vivi e perciò questo ci porta ad essere oggi insieme.”
Scanzi: “Sposo interamente quello che ha detto Giulio. Hanno molti tratti in comune, l’ irriverenza, il voler essere contro, essere provocatori, voler essere liberi a tutti i costi. Hanno in comune un talento irripetibile. Poi ci sono anche dei punti di divergenza e secondo me sono due. La prima è proprio quella che Gaber è più legato al tempo che vive. Gaber commentava, citava fatti che accadevano quello stesso giorno, faceva un genere diverso che era il teatro-canzone, era più politico, più militante, per quanto non etichettabile politicamente. Tutto questo fa si che oggi, quando lo si racconta in uno spettacolo, come è capitato anche a me per due anni e mezzo, se tu utilizzi Gaber per raccontare la storia d’ Italia ti viene meglio, perché raccontando Gaber tu racconti tre, quattro decenni della storia d’ Italia, è un pregio e un difetto; ma se tu vuoi dare una lezione di storia veloce in novanta minuti ad un ventenne, prendi gli spettacolo di Gaber e capisci cos’è stato il terrorismo, capisci cosa sono stati gli anni affollati, cos’è stato il sequestro Moro, capisci cos’è stato essere comunisti. Questo è positivo, però al tempo stesso per Gaber è negativo, proprio perché come diceva Giulio lo rende più datato, quindi a rischio di invecchiamento precoce. De André è più universale, quando racconti su un palco la sua storia, racconti anche la storia dell’artista per tutte le stagioni, perché i suoi sono temi universali, sono il tema dell’ amore, il tema della guerra, della pace, quindi è sicuramente più popolare. L’ altra cosa che li distingue è il percorso discografico, che sembra una cosa piccola, ma è decisiva. Quando si racconta Gaber, spesso la gente non sa neanche dove ascoltarlo, perché lui neanche faceva dischi, incideva i live dei suoi spettacoli; ha avuto un percorso discografico particolarissimo, in televisione non ci andava praticamente più, di dischi studio ne faceva sempre di meno ed è tornato a farli perché non poteva più fare spettacoli e concerti visto che era malato. De André, per quanto ha anche lui frequentato pochissimo la televisione e per quanto anche lui alla fine faceva un disco ogni sei anni, ha avuto in qualche modo un percorso discograficamente lineare, ti prendi il disco e te lo ascolti. Questo fa sì che De André sia più noto, sia più facile come accesso, ma sia anche più rischioso da raccontare perché in tanti lo hanno già fatto. Aggiungo come tratto in comune, purtroppo, che sia De André sia Gaber, sono stati, dopo la scomparsa, santificati eccessivamente, questo perché entrambi sono stati amati tanto e questo è bello, ma anche perché, in quanto pieni di spigoli, difficili da etichettare, questo Paese tende a santificare un artista per disinnescarlo, smussarlo, edulcorarlo, e questa è una cosa che mi ha fatto sempre molto arrabbiare, tanto in Gaber quanto in De André, perché secondo me loro sarebbero stati i primi ad arrabbiarsi nel vederli raccontare come fossero dei santini; spero che io e Giulio non facciamo questo errore ne “Le Cattive Strade”.”
Paolo Pandin
Videomaker e altre cose che cerco di fare che mi vengono più o meno bene.
www.paolopandin.com
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