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13 gennaio 2025

Malga Barbaria cerca aiutanti per finire la stagione

La fatica e l’impegno di Luca Gallina sul Monte Cesen

| Sara Armellin |

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Sara Armellin | commenti |

VALDOBBIADENE - Fare il malgaro non è per tutti: è proprio uno di quei lavori che, per essere portati avanti giorno dopo giorno, è necessario amare nel profondo. Non basta essere appassionati di montagna e di animali: bisogna provare e capire se si è tagliati per esso. Come Luca Gallina, classe 1969, che custodisce la tradizione della sua famiglia, allevatori da immemori generazioni in quel di San Pietro di Barbozza.

Per 8 mesi all’anno lavora in stalla e, appena i prati e le temperature lo consentono, Luca si trasferisce con il suo mondo sul monte Cesen. Transumanza animale e umana, che un tempo avveniva esclusivamente a piedi, ora, almeno per la salita, con l’aiuto dei camion adibiti al trasporto delle vacche: ma la discesa tradizionale si fa ancora, in un rito collettivo che coinvolge amici e curiosi, la “scargada”. Ogni anno, verso la fine settembre o comunque sempre entro metà ottobre, Luca raduna le sue bovine e ripercorre gli antichi sentieri che dai pascoli del Cesen arrivano fino alla stalla San Pietro di Barbozza.

Il perché di tanta fatica, quando si potrebbe ricorrere ai camion come per la salita, lo si capisce fissando i suoi occhi azzurri e profondi: è la medesima motivazione che lo spinge, anno dopo anno, a salire sul Cesen per 3 – 4 mesi con la sua compagna Camilla e le 90 vacche da latte: potrebbe fare la medesima attività con le comodità della stalla di San Pietro, ma (il latte) non avrebbe lo stesso sapore. Così come la sua vita, non avrebbe lo stesso gusto. Unica nota amara è la cronica assenza di personale, che sta mettendo sempre più in difficoltà la gestione della piccola malga affacciata sulla pianura trevigiana.

Ogni stagione si presenta la stessa situazione: per quanto si prenda per tempo a ricercare anche giovani studenti dell’alberghiero o dell’agrario, è sempre più difficile attirare le persone verso questo lavoro che, per quanto duro e stagionale, riserva infinite soddisfazioni. E non solo per l’aspetto paesaggistico, come il panorama che si gode dalla porta della malga, che spazia fino al mare. Lavorare in malga significa imparare a essere allevatore, agricoltore, casaro, ristoratore, cameriere e addetto all’accoglienza.

Perché le giornate iniziano presto, con l’accompagnare le vacche alla munta, ora automatizzata, ma che richiede comunque la presenza di un operatore: sei alla volta, in modo disciplinato, le vacche si avvicinano alla mungitrice automatica. Una pulita manuale alle mammelle gonfie e possono essere attaccate all’apposito macchinario. Il latte va poi automaticamente nella contigua sala caseificio, mentre le mucche vanno accompagnate al pascolo, dove trascorrono tutta la giornata a nutrirsi delle erbe di montagna. Dismesso “l’abito” da stalla, il malgaro indossa il grembiule dal casaro: il latte va scremato per fare il burro e poi lavorato a seconda delle diverse tipologie di formaggio che si vuole creare, rigorosamente a latte crudo.

Temperatura, quantità di sale e di caglio, grandezza della rottura della cagliata e ampiezza della forma le decide il casaro, così come quanto dovranno riposare all’aria prima e in cella di maturazione poi. Un lavoro ricco di profumi e cambi di temperatura, fatto con le braccia e con la testa, perché le ricette non sono scritte, ma tramandate di padre in figlio. Sistemato e pulito il caseificio, è quasi l’ora di pranzo: turisti ed escursionisti iniziano ad affollare i tavolini da cui si gode di un magnifico panorama. Un cartello avvisa chiaramente che i tempi di attesa possono essere lunghi, proprio a causa del poco personale: cliente avvisato, malgaro salvato!

Finito il servizio pranzo, un’occhiata alle vacche al pascolo e si va a girare le forme di formaggio, nonché a eseguire i piccoli lavori di manutenzione che in montagna non mancano mai. Ed è già sera: l’orario degli spuntini e aperitivi per turisti coincide spesso con l’ultima munta delle vacche, il cui latte viene subito raffreddato, pronto per la lavorazione del giorno successivo. Cena genuina, uno sguardo alle stelle e la giornata del malgaro è finita. Tanta fatica, tante ore, ma tante attività diverse: in una stagione in malga si ha la possibilità di imparare diverse professioni. La paga è buona, il contratto anche: quello che secondo Luca manca è la voglia di mettersi in gioco con serietà e impegno.

La tradizione delle malghe trevigiane, che vengono date in gestione dal Comune alle varie aziende agricole con bandi di 20 o 30 anni, è messa a repentaglio dalla mancanza di nuove leve. Se infatti un tempo le malghe erano gestite da intere famiglie allargate, con nonni, zii, cugini e amici che aiutavano nei mesi estivi, ora i nuclei più piccoli e il mutato contesto sociale/normativo mette in crisi questo modello gestionale.

Quindi: porte aperte a chi vuole provare il lavoro in malga! La stagione a Malga Barbaria non è ancora finita: se le temperature si manterranno tiepide, può andare avanti ancora un mese abbondante. Potrebbe essere una buona occasione per provare questa nuova avventura e capire se, in vista della prossima estate, si è pronti per un’esperienza che potrà cambiare la vita dei più coraggiosi.

 



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Sara Armellin

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