Il Piccolo Rifugio, la casa inclusiva
Dal 1957 la struttura offre accoglienza a persone disabili ispirandosi alla fondatrice Lucia Schiavinato: da allora la società e la percezione della disabilità sono cambiate, ma non l’attualità delle sue idee
| Fabio Zanchetta |
VITTORIO VENETO - Da quasi settant’anni il Piccolo Rifugio di Vittorio Veneto offre una casa e la possibilità di crescita a persone con disabilità sia fisica che cognitiva: è una delle sei sedi di questa realtà, assieme a quelle di San Donà di Piave, Ponte della Priula, Verona, Trieste e Ferentino.
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Una lunga storia di accoglienza iniziata da Lucia Schiavinato, personalità laica mossa da una profonda spiritualità per cui è in atto un processo di canonizzazione, tanto influente è stato l’impatto delle sue idee nella nostra società. A Vittorio Veneto il Piccolo Rifugio fu fondato nel 1957, quando la missione di “mamma Lucia” era già iniziata da più di vent’anni: nel Natale del 1935 incontrò per le strade di San Donà di Piave un’anziana disabile sola, che desiderava passare in compagnia le festività. A lei se ne aggiunsero altri, e da lì cominciò a maturare l’idea di una casa inclusiva che la società dell’epoca ancora non poteva capire, ma che col tempo avrebbe dimostrato una straordinaria visionarietà. Quando queste idee arrivarono nella Marca trevigiana, la disabilità era ancora un fatto da nascondere nella stanza più buia dell’abitazione o, quando questa non c’era, in uno dei grandi istituti di periferia che raccoglieva centinaia di persone considerate troppo “strane” per essere viste alla luce del sole. A Vittorio Veneto il Rifugio trovò la sua sede in una villa novecentesca di viale della Vittoria, in pieno centro. Per gli ospiti della casa, all’inizio disabili fisici, si affacciarono possibilità inedite: frequentare una scuola, imparare una professione, prendere la patente, stringere relazioni alla pari e, in definitiva, avere l’opportunità di costruire una vita nel senso pieno del termine.
“Era un periodo straordinario – racconta Dino Mulotto, vicepresidente della Fondazione Piccolo Rifugio e vicino a questa realtà dal lontano 1976 – Lucia ha anticipato i tempi capendo che era loro diritto avere le stesse opportunità di chiunque altro. Erano anni in cui certe scuole non accettavano nemmeno studenti in carrozzina, lei si spese per forzare queste barriere e dare agli ospiti un’istruzione e un mestiere che poi potevano esercitare fuori”. Mulotto, cavaliere della Repubblica dal 2011 per l’impegno decennale speso nell’assistenza, ricorda che del resto si trattava di superare uno scoglio iniziale di diffidenza e repulsione che veniva da un’educazione comune che andava in quel senso. Lui stesso ci riuscì grazie all’amicizia di Dino, un ospite del Rifugio molto piccolo ma con un’intelligenza straordinaria, che lo invitò assieme alla moglie per un brindisi natalizio. Con il progresso della medicina che ha alzato l’aspettativa di vita dei disabili gravi e la maggiore consapevolezza che si è diffusa nei confronti dei deficit cognitivi, sono diventati eterogenei gli ospiti, e di conseguenza più complesse le sfide da affrontare. “Dalla fine degli anni Novanta è diventata essenziale l’assunzione di operatori socio-sanitari con specifiche qualifiche professionali - spiega Gianni Natale, referente per la Fondazione Piccolo Rifugio per le sedi di Vittorio e San Donà – Per i suoi rifugi Lucia Schiavinato si avvaleva soprattutto di volontari, che ci sono ancora ma sono affiancati a professionisti. Questo ovviamente richiede più risorse di fronte a una elevata richiesta di creare strutture con pochi ospiti, di poche decine massimo”. Contemporaneamente si sono aperte nuove opportunità che hanno sviluppato ulteriormente quell’idea di “casa” attorno a cui ruota ancora la missione del Piccolo Rifugio. In particolare è l’iniziativa dei gruppi-appartamento ad aver attirato maggiormente l’attenzione sia degli operatori del settore che degli ospiti stessi delle strutture. Si tratta di alloggi dove persone con vari livelli di disabilità vivono in autonomia.
“Attualmente abbiamo un appartamento interno alla struttura in cui gli ospiti imparano a condurre in autonomia quella che è la quotidianità di una vita normale – spiega il referente – poi da questo si è sviluppato un ulteriore step, quello dell’appartamento esterno alla struttura, vicina a essa ma autonomo e isolato, soprattutto di notte. Un’ulteriore sfida data dal rapporto diretto con chi non fa parte dell’istituto”. “Tutte le persone accolte qui hanno un progetto personalizzato, in cui cerchiamo di capire le loro capacità e valorizzare i loro desideri, e di innalzare la qualità delle loro vite – spiega Silvia Tonon, educatrice – Dopo i lockdown è emersa chiaramente la necessità da parte di un po’ tutti gli ospiti di un maggiore rapporto con chi è fuori, anche per chi non esce, e così ci avvaliamo di professionisti esterni per variare i contatti umani.” Con le sue porte sempre più aperte il Piccolo Rifugio continua così a sgretolare quelle dicotomie che a suo tempo Lucia Schiavinato aveva capito essere sbagliate: “dentro e fuori”, “vita da normale e vita da disabile”. Grazie anche alla loro storia straordinaria la società ha scoperto e accettato passo dopo passo un aspetto differente di se stessa, e molti ospiti sono riusciti a vivere una vita che un tempo gli sarebbe stata negata.