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13 ottobre 2024

Conegliano

Conegliano: Vittorio Celotti, un artista da riscoprire

Dalle piazze alle chiese, passando per i cimiteri: Celotti ha lasciato tracce della sua arte nei luoghi che racchiudono l’anima della comunità trevigiana

| Fabio Zanchetta |

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| Fabio Zanchetta |

Vittorio Celotti

CONEGLIANO - All’inizio del Novecento Vittorio Celotti scelse Conegliano come residenza e sede del suo laboratorio artistico: lì arrivarono commissioni per lavori da eseguire in tanti comuni della Marca trevigiana, ma non solo.

 

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A ottant’anni dalla morte la sua è la figura di un artista locale da riscoprire, perché è molto difficile percorrere le nostre comunità e non imbattersi in una sua opera. A Follina, per esempio, si trova uno dei suoi lavori più belli e caratteristici, e proprio nel luogo che più di tutti testimonia la ricchezza storica e culturale della Vallata: la celebre abbazia cistercense per cui, oltre un secolo fa, Celotti realizzò le splendide porte in legno di rovere. I bassorilievi con santi e fregi vegetali delle porte furono scolpiti tra il 1908 e il 1909, con linee stilizzate e affilate che si adattano perfettamente allo stile gotico dell’abbazia, cosa che dice molto sul carattere dell’artista: si inseriva discretamente nel tessuto storico che lo circondava, lasciava una testimonianza del suo talento ma non sconvolgeva mai l’equilibrio che si era creato prima di lui, anzi, se possibile lo esaltava. Ma non gli mancarono nemmeno commissioni in cui era la sua opera a caratterizzare lo spazio circostante: è il caso dei monumenti ai caduti della Grande Guerra, che realizzò tra il 1919 e il 1926 ottenendo una discreta fortuna. Suoi progetti si trovano infatti a Castello Roganzuolo, Visnà, Ramera, Soffratta, San Vendemiano, Zoppé, Miane, San Michele di Piave, Brugnera e anche in provincia di Pordenone. Sono monumenti che rappresentano spesso soldati in pose dignitose, aquile simbolo di vittoria e soprattutto angeli, fissati con dei lineamenti semplici e netti così tipici del tardo liberty ma anche così riconoscibili dello stile dell’artista. Si tratta di una produzione solenne e con un accenno di retorica che manda a un culto dei caduti che all’epoca aveva un peso che oggi non comprendiamo del tutto. Non si trova invece quella retorica tipica della propaganda fascista che appesantisce molti monumenti realizzati nel corso degli anni Trenta, quando la stretta del regime si fece più forte anche nelle arti. Nella sua Conegliano non ha lasciato opere altrettanto notevoli, ma è comunque facile incrociare una scultura che porta la sua firma: la più conosciuta è il basamento del monumento di piazza IV Novembre, ma è del Celotti anche il Leone di San Marco in pietra d’Istria collocato all’interno di Porta Monticano, dalla parte opposta rispetto a quello più celebre dipinto dal Pordenone.

 

Ma è tra l’archivio comunale e il cimitero di San Giuseppe che si trovano le opere e le storie più interessanti relative al Celotti, che in ambito funerario si impegnò sia come scultore che come architetto. Fino agli anni Ottanta nel cimitero era visibile la tomba monumentale che realizzò per se stesso: era sormontata da uno dei tuoi tipici angeli, ma andò purtroppo dispersa dopo che la salma fu spostata in un colombaio. Rimane però un altro angelo firmato dal Celotti, simile al precedente e passato di famiglia in famiglia, o meglio di tomba in tomba, e recentemente identificato grazie a un bozzetto dell’archivio comunale. La prima riscoperta e la definizione del catalogo di questo artista che fu maestro, tra gli altri, di Claudio Granzotto e Giuseppe Modolo e collaboratore di Domenico Rupolo, è stata portata avanti dalla nipote dell’artista, Giovanna Terzariol Fabrizio, che nel 2006 ha pubblicato un importante studio con la guida dello storico dell’arte trevigiano Eugenio Manzato. Non deve essere stata una ricostruzione facile, considerando che la storia della scultura della Sinistra Piave è ancora oggi in gran parte una zona d’ombra. Ma l’autrice era legata a una promessa fatta alla famiglia, che ha combattuto per la conservazione della memoria del Celotti anche a costo di scavare tra le macerie del suo archivio, dopo che, il 19 febbraio 1945, un bombardamento lo distrusse assieme alla sua casa. Vittorio Celotti era ormai morto da qualche anno, ma la moglie e le figlie sapevano che salvare i preziosi documenti lasciati dall’artista era fondamentale: prima o poi qualcuno avrebbe reso giustizia a quell’artista e ai tanti gioielli che aveva lasciato nel territorio.

 



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Fabio Zanchetta

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