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28 marzo 2024

Treviso

"La morte a un certo punto ti pare proprio di toccarla"

La testimonianza di Paolo, che ha sconfitto il Covid dopo essere rimasto intubato in terapia intensiva: "L'unico della mia stanza a essere uscito vivo. Devo tutto ai medici del Ca' Foncello "

| Roberto Grigoletto |

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| Roberto Grigoletto |

Terapia intensiva

TREVISO - Paolo ha settant’anni compiuti che è poco. E’ di Treviso e a casa è ritornato un paio di settimane fa, dopo averne combattute altrettante al Ca’ Foncello contro un Covid incattivito che voleva portarselo via.

La storia di Paolo inzia con una febbre persistente che sale rapidamente fino a quaranta e non vuole saperne di scendere. Otto giorni sul letto di casa, con consulto medico telefonico. Poi il ricovero all’ospedale. I primi giorni nel reparto di Malattie infettive. La polmonite, come la febbre, non desiste e procede nel suo decorso inesorabile. I litri di ossigeno aumentano, il trasferimento in Pneumologia è necessario. Da qui in poi è un peggiorare continuo. E rapido.

Paolo entra in terapia subintensiva e quella stanza è l’ultima che ricorda. Perché il dopo è quello che, come tutti gli altri, non vedi e non senti: sedato e intubato. Fino a quando – se va bene come a Paolo – ti risvegliano: “Ho sentito che qualcuno parlava, ma sembrava così lontano. Poi mi sono “ritrovato” a pancia in giù. Con un fastidio in gola, un qualcosa che mi entrava dalla bocca. Torna pian piano la memoria: mi sono ricordato chi ero e dov’ero”.

C’è un prima della terapia intensiva, Paolo. E c’è un dopo. In mezzo un buco nero.
«Quello in cui i miei polmoni funzionavano al venti per cento. Ma questo i medici in quei giorni lo dicevano a mia moglie e ai miei figli, non a me. Io l’ho saputo dopo che ero rimasto per giorni… sospeso».

Prima di essere sedato cosa ricorda? Avvertiva il peggioramento delle sue condizioni di salute?
«Che le cose non stessero andando bene lo intuivo dal grande affaccendarsi dei medici e degli infermieri al mio capezzale. Prelievi, tamponi, monitoraggi di continuo: non mi perdevano d’occhio un istante».

Ha avuto paura?
«E’ strano ma mi sentivo di essere come uno spettatore che osservava l’evoluzione degli eventi».

E di quelli che erano con lei in terapia subintensiva, ricorda qualcuno?
«Questo è un ricordo che resterà indelebile. Con me altri due uomini della mia età, anno più anno meno. E una donna, più giovane. Mi ha colpito la sera in cui è entrata…»

Cosa le è rimasto impresso?
«Era sorridente. Aveva persino voglia di scherzare, di fare battute. Si è accomodata su una sedia . L’infermiere però non sorrideva. Le ha indicato il letto e l’ha invitata a sdraiarsi. Due giorni dopo non c’era più».

Gli altri suoi compagni di stanza?
«Neanche loro ce l’hanno fatta. Sono l’unico dei quattro ad esserne uscito. Non ho più smesso di pensarci. E nel cuore della notte continuo a svegliarmi: mi rivedo lì, in quella stanza, da solo».

I suoi polmoni a un certo punto hanno deciso di ricominciare a fare il proprio lavoro e giorno dopo giorno sempre un passettino in avanti.
«Eppure volevo mollare tutto, cedere».

E perché?
«Avvertivo un vuoto dentro di me. Qualcosa mi aveva come scavato dentro. Se a un certo punto ho deciso di reagire lo devo ai medici e al personale infermieristico che mi avevano in cura».

L’hanno motivata?
«Lo scriva, per cortesia: medici e infermieri del Ca’ Foncello sono eccezionali, professionalmente e umanamente».

Che cosa le dicevano?
«Il medico che mi seguiva, saputo che non volevo saperne di mangiare, che non mi sforzavo per niente, una mattina viene accanto al mio letto, si siede e mi fa: “Senti Paolo, secondo te ho fatto bene o ho soltanto perso tempo, nelle ultime settimane, a lavorare per tirarti fuori da questa situazione?»

C’è chi non crede si soffra e si rischi così tanto per il Covid…
«Lo so. E non auguro loro di provare cosa significa ammalarsi fino a finire in terapia intensiva. Dove a un certo punto senti che la morte sei proprio lì lì per toccarla».

Ora come si sente, Paolo?
«Mi ci vorranno sei mesi – così hanno detto – per rimettermi un po’ in sesto, ma…»

Ma?
«Ma, quel vuoto dentro... Quello no, non si riempirà più…»

 


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Roberto Grigoletto

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