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28 marzo 2024

Treviso

"La mia vita con Giampaolo Pansa", il libro d'amore scritto dalla moglie del grande giornalista

Adele Grisendi racconta a OggiTreviso l'uomo che ha subito i colpi del fuoco amico per i suoi libri "revisionisti"

| Roberto Grigoletto |

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| Roberto Grigoletto |

Adele Grisendi, la moglie di Giampaolo Pansa

TREVISO - Ha scritto un libro d’amore, Adele Grisendi, la moglie di Giampaolo Pansa, uno dei più grandi giornalisti italiani che da tredici mesi non sta più con noi. Una assenza che sta patendo chi gli ha voluto bene come chi lo ha sempre letto (e se ne perde il conto) senza abbandonarlo mai nelle sue peregrinazioni di testata in testata. Al termine delle quali ha potuto far ritorno in via Solferino, al “Corrierone” come all’altra grande firma, nell’ultima stagione della sua vita, era capitato: Indro Montanelli. Un giornalismo orfano di un altro “padre”, che questo mestiere, come pochi altri, è riuscito a fare veramente e fino in fondo, magistrale nello stile, unico e inarrivabile:metafore, neologismi, ironia.

E poi i tanti saggi e soprattutto i romanzi “revisionisti”: autore di autentici bestseller che gli hanno inimicato coloro che forse amici non lo sono mai stati. Parla anche di questo la moglie Adele in: “La mia vita con Giampaolo Pansa” (Rizzoli editore), un gran bel libro: “L’ho scritto perché glielo avevo promesso. Per raccontare com’era lui tutti i giorni e come vivevamo noi due. Ma per togliermi anche qualche sassolino. Quando è mancato sono state pronunciate cose indegne sul suo conto, a cominciare da alcuni accademici e illustri giornalisti...”. Continuano a non perdonargli di avere raccontato come è andata la Storia, o meglio certe storie... “Il sangue dei vinti” non l’hanno mai retto a certe latitudini.

Chi in particolare?

Il suo giornale per 15 anni: “La Repubblica”, per cominciare. Poi Giampaolo ha cominciato a ribattere colpo su colpo, come ne: “La grande bugia”. E non più avuto fine.

E Pansa è stato oscurato...

È calato il silenzio. La Storia però non può essere scritta soltanto dai vincitori perché ne esce un racconto parziale. E poi non tutto della guerra di Resistenza è risaputo. “Il sangue dei vinti” ha avuto sette edizioni in dieci giorni e Giampaolo ha ricevuto 2000 lettere per posta in meno di due mesi.

Non temeva, quando ha scelto di scrivere su certi temi, una strumentalizzazione a destra?

Tutto può essere strumentalizzato, anche il testo di una canzone scelta per una campagna elettorale, come fecero Prodi e Veltroni. In ogni caso, cosa avrebbe dovuto fare Giampaolo? Non pubblicare quel libro perché in quel momento al Governo stavano Berlusconi e la destra?

Suppongo di no…

Aveva scritto sulla Resistenza, sull’origine del fascismo e sulla sua fine. Quel libro è stato il completamento di un percorso logico. Eppure malgrado fosse uomo di sinistra, per avere scritto la verità storica è stato apertamente avversato e combattuto da fuoco amico. Pansa ha dato voce a una parte - i familiari dei vinti - zittita per troppi anni. Che poi la sinistra, a settanta e passa anni dalla fine della guerra, rimanga ancora inchiodata a una interpretazione a senso unico della Resistenza, è abbastanza anacronistico. Di certo però non tutti durante la Resistenza hanno fatto le cose per bene.

Del Pansa giornalista che cosa può raccontarci? Come lavorava ai suoi pezzi?

Era molto scrupoloso. Mi chiedeva di rileggere i suoi pezzi. Detestava le ripetizioni, i refusi ma soprattutto i pezzi “buttati sù” come si dice dalle mie parti, in Emilia. Leggeva tanto e conservava le pagine dei giornali dove erano state pubblicate soprattutto storie personali.

E il “Bestiaro” come prendeva vita?

Decideva il tema due o tre giorni prima, attingendo al materiale che aveva archiviato. Poteva capitare però che alla mattina del giorno in cui doveva scrivere la rubrica cambiasse argomento. Iniziava alle 8.30 e per le 12.30 aveva terminato.

Scrupoloso nell’approfondimento delle cose da raccontare e nel modo di dirle: dove aveva appreso questo metodo di lavoro?

Osservando gli altri più bravi perché diceva che il mestiere non si impara, si ruba. Poi ha potuto usufruire della grande scuola de “La Stampa: per i primi sei mesi, dopo essere stato assunto, non ha scritto un articolo che sia uno, lavorando su pezzi scartati. Poi, chiuso il giornale, il suo capo leggeva quanto aveva prodotto. E correggeva.

Pansa innovò anche il modo di raccontare la politica e seguiva un suo personale codice di comportamento.

Primo articolo: non frequentare i politici e in potenti in genere.

Incoraggiava i giovani di intraprendere la carriera giornalistica?

No, la sconsigliava. Era pessimista sul mestiere che è stato la sua vita per 60 anni.

E ai ragazzi come raccomandava di studiare la Storia?

Li invitava a non soffermarsi sulle verità dichiarate, ponendosi continuamente domande. A non leggere solo articoli e libri di una parte. Il mondo non è di un colore soltanto , è arcobaleno.

 


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Roberto Grigoletto

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