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29 marzo 2024

Montebelluna

Il MeVe espone il prezioso diario di guerra di don Antonio Dal Colle

Per la prima volta visibile il diario del cappellano che restò a fianco dei montebellunesi durante la Grande Guerra

| Lieta Zanatta |

| Lieta Zanatta |

Il MeVe espone il prezioso diario di guerra di don Antonio Dal Colle

MONTEBELLUNA - “Vediamo il Grappa in fiamme!” scriveva accorato don Antonio Dal Colle, mentre lungo la linea del Piave perdurava la controffensiva delle truppe del Regio Esercito italiano in quella lunga settimana, dal 15 al 23 giugno 1918, che sarebbe diventata famosa in seguito come la Battaglia del Solstizio.

E lui, giovane cappellano ventinovenne, che aveva scelto di restare nella Montebelluna diventata cittadina di retrovia della prima linea, riempiva puntualmente e con dovizia di particolari le righe di quel toccante e drammatico diario che oggi per la prima volta viene esposto al Meve, il Memoriale veneto della Grande Guerra di Montebelluna, fino a fine mese, con una probabile proroga di data.

Un diario noto, di proprietà della parrocchia della Beata Vergine immacolata di Montebelluna, che è stato trascritto e pubblicato per la prima volta nel 1997 grazie a don Paolo Asolan e Gianna Galzignato, riedito nel 2018 con il titolo Antonio Dal Colle, Diario di Guerra durante l’Offensiva sul Piave, arricchito da un saggio introduttivo di Lucio De Bortoli per le Edizioni Bertato.

Certo, suscita una diversa emozione leggere un volumetto stampato che vedere quel quaderno di circa 150 pagine a righe ingiallite dal tempo, grande quanto un formato A4 dei nostri tempi, riempito di getto e corretto in alcune parti, con aggiunti brani di giornali e foto, scritto dalla rotta di Caporetto, il 24 ottobre 1917, fino ai primi mesi del 1919.

“Don Antonio infatti ritaglia e ci incolla brani dei giornali - quelli che maggiormente lo colpiscono - e manifestini in giro all'epoca. Ci trascrive proclami del Regio Esercito e persino qualche foto, restituendoci così uno spaccato di Montebelluna sofferente nelle retrovie” spiega Ilaria Bolzon, conservatore del Meve. “Lo scrive di sera «mentre gli aeroplani volavano gettando bombe e bomboni».

Dal Colle era già stato inviato quale cappellano al fronte nel 1916 – e subito riformato - poco dopo la sua ordinazione sacerdotale il 23 maggio 1915. Nominato cappellano a Montebelluna, era il braccio operativo del prevosto monsignor Giuseppe Furlan e, a differenza di quasi tutte le autorità locali, resta nella cittadina fino alla fine del conflitto a fianco della popolazione. Il suo pregio è quello di raccontare il punto di vista di una popolazione stremata che vive a ridosso della prima linea italiana.

Con la rotta di Caporetto Montebelluna subisce all'inizio l'ondata di profughi dal Friuli Venezia Giulia spinta dall'esercito austriaco in avanzata e parte della sua popolazione viene evacuata nel 1918. Quale retrovia, in zona vengono istituiti dei presidi di soccorso e l'Ospedale da Campo del Regio Esercito, oltre al Comando ufficiali e le strutture logistiche.

“Don Antonio vive tutta questa situazione con grande sensibilità – spiega ancora Bolzon –. Registra umori e ansie della popolazione che ha paura di diventare, come la sinistra Piave, zona occupata dagli austro-ungarici”.

La cronaca della Battaglia del Solstizio è puntuale e da lui prevista. Nei giorni antecedenti i combattimenti, vengono distribuite tra la popolazione 200 maschere antigas. Il fatto è testimoniato da una foto che don Antonio appiccica sul diario, dove si fa ritrarre impettito con una borsa di tela a tracolla con i componenti della famiglia del campaner di Santa Maria in Colle, i Bordin, che indossano proprio le maschere antigas. L'immagine è scattata il mattino del 15 giugno, quando i combattimenti della battaglia sono già iniziati.

 

E lui descrive i suoni delle armi e i bombardamenti che assordano la zona. La gente che non era scappata si rifugiava in alcune trincee scavate artigianalmente, in realtà delle buche che oggi non esistono più se non nella descrizione del cappellano, per ripararsi dai bombardamenti. Sono immagini drammatiche quelle che restituisce il 19 giugno, quando soldati feriti che scappano da sé dal fronte, perdenti sangue e brandelli di carne, cercano di raggiungere l'ospedale da campo. Per questo si alternano frequenti e intense le sue invocazioni alla Madonna. La sua, è una reazione anti-eroica.

"Dal Colle non si limita alla mera descrizione della cronaca locale - aggiunge ancora Bolzon - ma infarcisce il diario di note e giudizi tutt'altro che positivi sull'andamento della guerra nonostante le vittorie da parte italiana".

Quando il 25 giugno finisce la battaglia del Solstizio, don Antonio scrive infatti “Entusiasmo in Italia per la vittoria. Discorsi e dimostrazioni all'eccesso. Robe da matti. Si vede che l'Italia non è il paese della serietà. Siamo abituati ad esagerare sempre. E' vero che i nostri li arrestarono ma è pur vero che furono essi a ripiegare al di là del Piave. Lode al valore d'Italia, ma per carità, non si perda la testa”.

Sostanzialmente Dal Colle è un antimilitarista, che vede nella guerra un'inutile strage. Rappresenta bene la lotta in atto tra Stato italiano e Chiesa che ancora persisteva dalla breccia di Porta Pia del 1870. Un conflitto ricomposto successivamente con i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929.

Dal Colle mette nero su bianco le invettive contro una retorica patriottica che torna nuovamente con la decisiva Battaglia di Vittorio Veneto, dal ‎24 ottobre al 4 novembre 1918. “Insomma è un uomo del suo tempo, che vive con il suo popolo, destinatario della missione pastorale, perché quando i combattimenti infuriano, è il clero che in quelle zone si prende carico della popolazione abbandonata da tutti” commenta la conservatrice. Fuggono infatti il sindaco e le autorità politiche. Resta per un periodo il prefetto mentre l'onorevole Pietro Bertolini fa spola con la capitale per cercare di aiutare la sua gente. “L'onorevole è in partenza per Roma”, puntualizza nel suo diario.

E' giovane Don Antonio, e ha la libertà, l'ardore e il tempo di scrivere sul suo diario giudizi forti e poco diplomatici. Nato a Castagnole di Paese il 16 agosto 1889, resta a Montebelluna fino al 1921, quando diventa vicario pastorale a Ponzano Veneto sino al 1924. E' poi nominato arciprete di Piombino Dese dove permane fino al 1971. Qui viene sepolto nella chiesa parrocchiale quando muore nel 1985.

“E' commovente guardare il suo diario – conclude la conservatrice – Le carte d'archivio sono sempre belle da guardare, ma è il contenuto quello che ci dà lo spunto per delle profonde riflessioni”.

 


| modificato il:

Lieta Zanatta

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