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25 aprile 2024

Nord-Est

Marmolada, gli esperti: "Non c'erano segnali di collasso"

Università Padova, Parma e Ogs studiano da 20 anni il ghiacciaio, che potrebbe scomparire entro il 2040

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Marmolada, gli esperti:

PADOVA - Prima del crollo di domenica, sulla Marmolada "non si sono osservati dei segnali evidenti di un collasso imminente. Salvo rarissimi casi, nei ghiacciai, a differenza delle frane, non vi sono sistemi di allerta che misurano movimenti e deformazioni in tempo reale". Lo sottolineano i ricercatori del Gruppo di lavoro glaciologico-geofisico per le ricerche sulla Marmolada, che da vent'anni studiano il ghiacciaio, coordinati da Aldino Bondesan, dell'Università di Padova, responsabile del Comitato Glaciologico Italiano (Cgi) per il coordinamento della campagna glaciologica annuale nelle Alpi orientali.

Il gruppo è composto anche da Roberto Francese, geofisico dell'Università di Parma e membro del Comitato Glaciologico Italiano, e Massimo Giorgi e Stefano Picotti, geofisici dell'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs). Per gli studiosi inoltre i crepacci, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel distacco, "erano visibili già da diversi anni e di per sé fanno parte della normale dinamica glaciale". Il distacco di seracchi è un fenomeno "frequente" nei ghiacciai, sottolinea il gruppo di studio, e "fa parte della normale dinamica glaciale", ma "più raro è il caso di collassi in blocco come quello verificatosi in Marmolada".

Per gli studiosi "il ritiro e il riscaldamento determinano un aumento della frequenza degli eventi, e in generale un aumento della pericolosità delle fronti glaciali. L'osservazione annuale di molti ghiacciai è stata recentemente abbandonata proprio per l'incremento delle condizioni di rischio alle fronti glaciali. Tuttavia, non tutti i ghiacciai presentano le medesime condizioni di pericolo, che variano in funzione della temperatura ma anche della morfologia, delle pendenze, delle dimensioni e di altri parametri. Ogni ghiacciaio va studiato singolarmente individuando i rischi specifici - concludono - che si sommano a quelli già insiti nella frequentazione dell'ambiente alpino".

Per il gruppo il crollo del 3 luglio ha interessato un "lembo residuale" del ghiacciaio centrale della Marmolada, che occupa una piccola nicchia a ridosso della cresta sommitale sotto Punta Rocca, formando un "ghiacciaio sospeso". Le cause vengono indicate in una serie di condizioni, il cui relativo peso ad oggi non è di facile determinazione. Tra queste la forte inclinazione del pendio roccioso; l'apertura di un grande crepaccio che ha separato il corpo glaciale in due unità; la presenza di "discontinuità" al fondo e sui lati; l'aumento anomalo delle temperature che hanno influito sullo stato del ghiaccio; l'aumento della fusione, con conseguente incremento della circolazione d'acqua all'interno del ghiaccio, che può aver innescato una crescita dello stress sulle superfici di discontinuità; infine, la fusione progressiva della fronte glaciale, che ha fatto mancare sostegno alla massa sospesa.

Se saranno confermati gli attuali andamenti anche nei prossimi anni, è molto probabile che il ghiacciaio della Marmolada scompaia prima del 2040. Se dovesse rallentare il processo di riduzione della massa glaciale, in ogni caso è improbabile che possa conservarsi oltre il 2060. La previsione - "esercizio piuttosto difficile quando si parla di sistemi naturali" - viene dal gruppo di lavoro delle Università di Padova, Parma e dell'Ogs, che da 20 anni monitorano il massiccio.

"Solo pochi anni fa - proseguono gli esperti - i modelli prevedevano una vita del ghiacciaio per altri 100 o 200 anni. È evidente quindi come i modelli predittivi debbano essere costantemente aggiornati e migliorati e come sia fondamentale garantire, e possibilmente migliorare, il monitoraggio dei ghiacciai con particolare attenzione alle loro variazioni volumetriche".

Sottolineando che il ritiro dei ghiacciai è "la manifestazione più evidente di un cambiamento climatico in atto", per gli studiosi desta maggior preoccupazione "la progressiva accelerazione del ritiro glaciale, che impone una revisione degli scenari climatici più ottimistici predisposti dagli scienziati. Nel lungo termine l'unica azione efficace è quella di trovare un accordo globale che consenta la riduzione dell'emissione di gas-serra per mitigare il riscaldamento terrestre. Nel breve-medio termine si può solamente ricorrere a strategie di adattamento che consentano la razionalizzazione delle risorse - conclude la nota - e una maggiore efficienza nella realizzazione delle infrastrutture, nei processi industriali e nei modelli sociali".

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