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28 marzo 2024

Treviso

LORO, I RAGAZZI DEL CARCERE DI SANTA BONA

Un tuffo dentro l'Istituto penale minorile di Treviso

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LORO, I RAGAZZI DEL CARCERE DI SANTA BONA

TREVISO – Un cancello, un muro, un gruppo di guardie. Questo è ciò che divide i ragazzi di Santa Bona dal resto del mondo. Materialmente. Quello che, invece, li differenzia dai loro coetanei sono le storie. Le vicende drammatiche che questi giovani si portano dentro, si lasciano dietro le spalle, si confidano, si scambiano. Vicende diverse, ma anche simili. Vicissitudini che li hanno comunque fatti arrivare lì. Nell’Istituto penale minorile di Treviso.

Sono una ventina i ragazzi che, al momento, vivono nella casa circondariale. Hanno dai 14 ai 21 anni. Indossano scarpe da skater, larghe felpe con il cappuccio, jeans e pantaloni da rapper, camicie e cappellini con il frontino. Sorridono. Cantano. Ballano. Lo fanno perché l’istituto ha aperto le porte al pubblico. A un pubblico che, per loro, è una novità. Venerdì 21 settembre: un giorno importante per i ragazzi, che hanno potuto (di)mostrare le loro capacità, innate e acquisite. E il loro contagioso entusiasmo.

Dalle mura di Santa Bona, bussando alle porte del paradiso, hanno cominciato lo spettacolo. Knockin’on Heaven’s Door ha risuonato nella stanza dove si esibivano. Ha risuonato grazie alle mani di Marco (i nomi sono di fantasia), alla voce di Andrea, alle bacchette di Federico, alle dita di Leonardo. Ne è seguito un ballo: musica tunisina e acrobati in equilibrio su una mano. Sempre loro i (bravissimi) protagonisti del palcoscenico. Ma chi sono, loro?

“Un minore che diventa autore di reato, prima ne è stato vittima”. Maria Vittoria Fattori, ne è certa. La pedagogista che lavora all’Istituo penale, è ogni giorno a contatto con questa realtà. E ne vede arrivare a decine di ragazzini spaventati, impauriti. Sta al loro fianco, quando si schiudono. Aiutandoli a riscattarsi dalle drammatiche vicende che li hanno segnati, scossi, stravolti. “Molti di loro – racconta Maria Vittoria fattori – sono extracomunitari arrivati in Italia non accompagnati. Sono minori che sbarcano a Lampedusa da soli. Con sè, un po’ di droga da spacciare. E da Lampedusa, arrivano a Padova. E da Padova, li spediscono qui”.

Raggazzini-burattini di un sistema di spaccio più grande di loro. Che loro, spesso, non sanno nemmeno cos’è. Oppure ragazzini protagonisti di qualche furto. Ma la cosa che li differenzia dai coetanei italiani autori delle stesse violazioni è che, loro, una famiglia non ce l’hanno. I genitori si trovano a migliaia di chilometri e non possono prendersi carico di un figlio, seguirlo, far sì che non ripeta l’errore, che non scappi. Al posto di un tutore, l’istituto penale.

“E’ la famiglia, che manca.- spiega Fattori – Infatti, da quando è stato istituito il nuovo decreto, che affida i minori soli a famiglie omoculturali, gli ingressi qui sono notevolmente calati. Questi ragazzi hanno bisogno di un sostegno, di una guida. Mentre, troppo spesso, vengono emarginati”. Dopo essere già stati abbandonati. E sfruttati. “Quando arrivano qui – continua la pedagogista – rimangono per 4 giorni in un centro di prima accoglienza. E sono davvero terrorizzati. Hanno paura di cosa gli possa capitare, della situazione che troveranno. Ma superato l’impatto, rivelano un po’ di serenità. Sport, scuola, cucina, psicologo, pedagogista. Qui dentro, forniamo ai ragazzi tutti i supporti e le attività che vengono proposte in ogni altra scuola”.

Moltissime le occupazioni che coinvolgono i detenuti. “Facciamo di tutto per far sì che i ragazzi acquisiscano capacità e competenze spendibili nel mondo del lavoro – spiega Cristine Gaiotti, di ENGIM Veneto, C.F.P., Istituto Turazza di Treviso, che a Santa Bona segue le attività di formazione professionale e in particolare il progetto Bottega Grafica – Al momento ho 5 ragazzi. Insegno loro a creare prodotti grafici, dalle brochure alle locandine. Collaboriamo con associazioni di volontariato. E ai ragazzi, questo, piace. Sono contenti di poter essere utili per la comunità. Di poter fare del bene, di agire in positivo dopo che sono stati marchiati di essere fautori di azioni negative. Insomma, per loro è un riscatto. Ma non solo: è anche il preludio e l’occasione di poter essere in un futuro inseriti nel mondo del lavoro”.

Il futuro. E’ solo questo che hanno i mano i ragazzi di Santa Bona. Un passato da dimenticare, un presente che li etichetta. La timidezza negli occhi e la speranza che, la vita, sia quella che ancora non conoscono. Perché, solo loro, sanno cosa vuol dire. Cosa significa non avere nemmeno 18 anni, e aver vissuto l’espatrio, lo spaccio, la solitudine, la vergogna, lo sfruttamento, la galera. E, soprattutto, la paura.

Stefania De Bastiani

Le mura di Santa Bona

 


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