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28 marzo 2024

Treviso

"L'errore di Zaia è conteggiare tamponi rapidi e molecolari insieme"

Maurizio Manno del Covesap smonta la tesi del Governatore. E sulla variante inglese dice che non è la causa dell'aumento di contagi in Veneto

| Tommaso Colla |

| Tommaso Colla |

Covid in Veneto

VENETO - La spiegazione è sempre quella: "In Veneto si processa il numero di tamponi più elevato d’Italia: i contagiati dunque sono tanti per forza. Peccato – dice il Governatore dei veneti – che nella contabilità il ministero non contempi i tamponi rapidi. Allora – conclude – altro che prima Regione più contagiata del Paese". Ben diversa e l'opinione del dottor Maurizio Manno del Covesap, il Coordinamento Veneto Sanità Pubblica.

Dott. Manno, il presidente Zaia invita a leggere i dati con consapevolezza…

Certo! Peccato che nel farlo insista nel conteggiare tamponi molecolari e tamponi rapidi assieme, commettendo un grave errore di valutazione. Da quanto ci è dato capire dalla complicata spiegazione fornita dalla dottoressa Russo nel corso di una recente conferenza stampa, la Regione Veneto, unica nel paese, calcola l’incidenza, ovvero il tasso di nuovi casi in un dato periodo di tempo, fornendo un valore unico per i positivi, mettendo però assieme i risultati di due test completamente diversi.

Molecolare e rapido: spieghiamo la differenza i termini di attendibilità ed efficacia

Il molecolare, o genetico, fatto con tecnica di biologia molecolare nota come pcr (polymerase chain reaction), che è in pratica il riconoscimento esatto dell’impronta dell’RNA del virus; il rapido, o antigenico, basato sul riconoscimento della proteina superficiale del virus da parte di anticorpi specifici indotti volutamente negli animali di laboratorio.

Metterli insieme non si può...

Sarebbe come mettere assieme pressione arteriosa e frequenza cardiaca: entrambi i test riguardano il cuore ma, come tutti sanno, hanno significati molto diversi tra loro.

Ma che differenza c’è in pratica tra molecolari e rapidi?

Test molecolare e test rapido hanno entrambi un’alta specificità (capacità di individuare correttamente i soggetti negativi al virus) che supera il 95%, ma sensibilità molto diverse (capacità di individuare correttamente i soggetti positivi) ed è questo quello che più conta ai fini della diagnosi! Mentre i molecolari individuano correttamente oltre il 95% dei positivi, i rapidi danno come negativi, e quindi “perdono” fino al 30-40% dei soggetti positivi o anche più. Il fatto grave è che questi falsi negativi se ne vanno in giro credendo di non essere contagiosi e invece lo sono.

Quindi la percentuale dell’8% ribadita anche recentemente dal presidente Zaia non è calcolata correttamente?

La percentuale fornita dal presidente Zaia ha due problemi. Il primo è di mettere assieme test diversi e la prova la fornisce la stessa Regione Veneto che in un recente comunicato stampa ha spiegato come vengono calcolati i numeri dei positivi di un dato giorno.

Come?

Sul totale di 16.810 tamponi molecolari e 35.831 tamponi rapidi eseguiti in quel giorno, i 3.320 casi positivi erano pari al 6,3%, mettendo molecolari e rapidi assieme. Il secondo problema è che questa percentuale non è confrontabile con quelle fornite dal Ministero per l’Italia e per le altre regioni, che invece considerano solo i tamponi molecolari.

Allora secondo voi del Covesap i test rapidi andrebbero aboliti?

Assolutamente no. I test rapidi sono una risorsa importante, veloce ed economica, se usati correttamente e su grandi numeri (ad esempio per fotografare la diffusione del contagio o per fare un rapido screening di massa o per valutare l’andamento nel tempo su di un’ampia popolazione) ma pericolosissimi se usati a fini impropri, ad esempio diagnostici o di screening di gruppi di soggetti a rischio elevato (operatori sanitari) o con maggiori fragilità (anziani, bambini, pazienti immunodepressi, ecc.).

Zaia afferma che la classificazione in diverse zone di rischio (rossa, arancione o gialla) si basa sulla valutazione oggettiva da parte del Ministero della Salute di 21 parametri. Ma allora perché il Veneto continua ad essere classificata in zona gialla?

Già da settimane abbiamo chiesto di conoscere le motivazioni di tale infausta decisione, denunciando l’inesistenza dei numeri di posti letto di terapia intensiva realmente disponibili in Veneto, uno dei criteri fondamentali se non il principale su cui l’assegnazione alla zona gialla si basa. Crediamo anzi che proprio questa errata narrazione da parte del presidente Zaia - che abbiamo definito l’”ossessione della zona gialla” - abbia contribuito in modo estremamente significativo alla diffusione dei contagi che stiamo vivendo oggi.

Cosa pensa dell’ipotesi che le attuali criticità della pandemia in Veneto siano dovute alla cosiddetta variante “inglese”?

La nuova variante è più trasmissiva di quelle sinora conosciute perché si riproduce più rapidamente. Quindi, chi si infetta, asintomatici inclusi, è portatore di un maggior carico virale nella bocca e nel naso ed è quindi più contagioso. Diffusa probabilmente già da fine settembre, nell’area di Londra e nel sud est dell’Inghilterra, ma potrebbe essersi verificata mesi fa, con modalità ancora sconosciute. Nulla prova però una presunta sua maggior diffusione nel Veneto che nelle altre regioni. La stessa variante infatti è stata trovata anche in Campania, Puglia e Abruzzo, quasi sempre in pazienti che provenivano o avevano rapporto col Regno Unito. Non vi è al momento alcuna evidenza scientifica dunque che la diffusione del contagio in Veneto, fuori controllo già da diverse settimane, sia imputabile alla variante inglese.

 


| modificato il:

Tommaso Colla

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