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20 aprile 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

Le scoperte che hanno riscritto la storia della Vallata

Cento anni fa, per puro caso, affiorarono dei reperti archeologici ai laghi di San Giorgio e di Santa Maria che permisero ad archeologi e storici di comprendere l’importanza del territorio lacustre, tra Prealpi e colline dell’Altotrevigiano

| Michele Zanchetta |

| Michele Zanchetta |

archeologia tarzo

VALLATA - Fino all’inizio del Novecento, si pensava che la Vallata fosse un’area pedemontana sicuramente frequentata e insediata in antico, ma di cui non erano state tramandate tracce.

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L’aspetto più caratteristico erano i luoghi della fede, in particolare l’abbazia di Follina e il santuario di San Francesco da Paola a Revine. Qui e lì, toponimi che ricordavano antiche radici e l’idea che le vie di commercio del passato sicuramente si fossero sviluppate anche lungo la Vallata. Iniziate nel medioevo ed ampliate nell’Ottocento, le bonifiche consistevano nell’innalzamento del piano di campagna con il contestuale fluire delle acque verso valle. Contribuirono sicuramente all’allargamento dell’area destinata alle pratiche agricole, nascondendo però le antiche origini preistoriche. I primi rinvenimenti di reperti archeologici spostarono indietro la storia del territorio, finalmente cominciava ad emergere la vita antica della Vallata. Attestabili al Neolitico (circa 4500 a.C.) quelli più antichi, via via si iniziò ad espandere la cronologia, infatti, si rinvennero ceramiche e strumenti di età preistorica.

 

Tra i reperti affiorati, sicuramente la spada di tipo Sauerbrunn, conservata al Museo del Castello di Conegliano, è quella più nota. E’ un oggetto di bronzo attestabile al XV secolo a.C. (età del Bronzo medio), probabilmente gettata nel lago a scopo cultuale. Le popolazioni alpine e prealpine erano molto legate al culto delle acque, spesso fonti, specchi, corsi e confluenze erano santuari naturali dove onorare gli dèi. Nel corso del Novecento, con l’avvento della meccanica in agricoltura, i lavori agricoli furono più incisivi: le arature profonde, lo scavo di canali e lo sradicamento delle radici degli alberi misero in luce altri reperti, che contribuirono a sottolineare quanto questa valle fosse insediata. Contestualmente, lungo le rive del lago furono scoperti pali infissi nel terreno, a distanza regolare e legati tra loro da un sistema a cassettone. All’interno di questi recinti e nelle vicinanze, quando l’acqua era più bassa, si intravedevano frammenti di ceramica e pietre lavorate, ma specialmente scintillavano gli oggetti in selce, un particolare tipo di pietra tagliente usata per fare lame, punte di freccia, raschiatoi per pulire le pelli.

 

In un’epoca dove la metallurgia era sconosciuta o poco praticata, questo raro materiale lapideo era fondamentale per la vita quotidiana durante la Preistoria. L’analisi degli archeologi ha permesso di comprendere che queste selci erano importate, principalmente da Valbelluna, ma in minor parte anche dai Monti Lessini del Veronese, dove si trovano con facilità. Il confronto con contesti simili nei laghi delle valli alpine, permise di comprendere come la zona fosse caratterizzata da insediamenti su palafitte, costruite sulla riva. Da qualche anno tutti i siti palafitticoli alpini, dalla Francia alla Svizzera, dall’Austria all’Italia, sono parte del sito Unesco diffuso, che è Patrimonio dell’Umanità. In futuro sarebbe importante che anche l’area della Vallata ne facesse parte, ampliando così le attrattive per una zona che è già nel cuore delle Colline del Prosecco. La nuova campagna di scavi archeologici dell’Università di Ferrara, a Colmaggiore di Tarzo, sta mettendo in luce le palafitte preistoriche del settore sudorientale dei laghi, ma è immaginabile che l’area di insediamento sia stata molto più grande.

 



Michele Zanchetta

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