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05 ottobre 2024

Lavoro

LE GIOIE E I DOLORI DELL’EMPATIA

Maggiore razionalità per le decisioni in era covid

| Claudio Bottos |

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| Claudio Bottos |

Foto dal libro

LAVORO - Inizio questo articolo riportando alcune frasi del libro, che a me piace molto, di David Eagleman “il tuo cervello la tua storia” edizioni Corbaccio. Si tratta di un neuroscienziato che lavora al Baylor College of Medicine di Huston, Texas, dove conduce esperimenti innovativi nell’ambito delle neuroscienze contemporanee. I suoi studi sono stati pubblicati su riviste scientifiche quali Nature e Science.

Ne libro si legge: […] Noi andiamo al cinema per rifugiarci in un mondo di amore e cuori spezzati, di avventure e terrore, ma gli eroi e i cattivi sono solo attori proiettati bidimensionalmente su uno schermo, e allora perché dovremmo minimamente preoccuparci di ciò che accade a quegli effimeri fantasmi? Perché i film ci fanno piangere, ridere o rimanere senza fiato? Per capire il motivo che vi spinge a preoccuparvi per gli attori, dobbiamo cominciare da quello che capita nel vostro cervello quando provate dolore. Provate ad immaginare che qualcuno vi punga la mano con una siringa: non c’è un’unica zona nel vostro cervello che gestisce quel dolore, ma quell’evento mette in moto varie parti del cervello, che agiscono tutte insieme. Questa rete neurale è definita “matrice del dolore”. Ed ecco la sorpresa: la matrice del dolore è fondamentale per il nostro rapporto con altre persone. Se vedete qualcun altro ferito con una siringa, ecco che la vostra matrice del dolore viene attivata, non dalle aree che vi avvertono che siete stati toccati, ma da quelle coinvolte nell’esperienza emotiva del dolore. In altre parole, guardare qualcun altro in preda ai dolori oppure provare noi stessi il dolore, coinvolge il medesimo apparato neurale. È questa la base dell’empatia. […] Davanti a una persona che soffre, avrete un bel dirvi che non è cosa che vi riguardi, ma nel profondo del cervello i vostri neuroni non capiscono la differenza.

Vi chiederete il perché di questa premessa sull’empatia. In tante trasmissioni televisive e radiofoniche si sentono raccontare storie di imprenditori che sono in crisi per la vicenda covid. Questi racconti coinvolgono emotivamente chi ascolta, ma anche chi decide o dovrebbe decidere. Sappiamo, da dati ISTAT, che il PIL del 2020 è diminuito del 8.8%. Secondo dati della CGIA di Mestre, le imprese italiane, tra servizi e manifattura, hanno perso circa 400 miliardi di euro di fatturato, di cui 200 a carico delle imprese chiuse per decreto, quali ad esempio alberghi, ristoranti, palestre, agenzie di viaggio, cinema, teatri, ecc. Sappiamo anche che le aziende si sono ulteriormente indebitate, non per fare investimenti ma per arginare l’emergenza, e così come è stato per le famiglie, basta vedere l’aumento dei risparmi, hanno incrementato conti correnti e depositi. Allo stesso tempo Banca d’Italia fa presente che c’è un rischio di crescita dei fallimenti e le più pressate sono le imprese piccole e le microimprese. Secondo una indagine ISTAT quelle già in grande crisi sono circa 292.000. Di fronte a questi numeri, bisogna essere più razionali e meno empatici. Quando vengono presentati i casi nelle trasmissioni, sentiamo le persone che devono prendere decisioni, ossia politici, manager, imprenditori ecc. che dicono, proprio per l’effetto empatico, che bisogna aiutare le imprese e gli imprenditori che presentano il loro dolore e i loro problemi. Pochissimi dicono sì, vanno aiutate queste imprese ma, a certe condizioni, per esempio verificando se queste erano già in crisi prima del covid, se sono già in una situazione di insolvenza irreversibile e se hanno o meno una prospettiva di risanamento o di continuità.

Le risorse dello stato distribuite a pioggia, senza una verifica della situazione aziendale, sono risorse gettate al vento e producono più danni che benefici perché, tenere in vita una impresa che non produce ricchezza e brucia risorse finanziarie aumenta l’entità in termini numerici dello stato di crisi irreversibile creando danno ai dipendenti, ai fornitori e allo stato stesso. Queste imprese si trovano quasi sempre in una situazione di decozione, e non pagano regolarmente imposte e contributi. Lo stato rischia così di finanziare imprese che creeranno un buco più grande di quello attuale. Immaginate di essere creditori di una impresa per 50.000 euro, e questa vi chiede altre forniture per continuare la sua attività, promettendovi che con quella merce riuscirà a lavorare e restituirvi il vecchio e il nuovo credito che vantate. Purtroppo, se l’impresa non produce ricchezza e non margina, nel medio lungo periodo, il rischio di avere un credito molto più alto dei 50.000 euro iniziali è elevatissimo così come il rischio di non recuperare mai più il credito vantato. Questo è lo stesso rischio che lo stato corre con i finanziamenti a pioggia senza verifica della situazione delle imprese. Ma come fare le verifiche? In questo potrebbero essere stati utili i professionisti o le associazioni che seguono le imprese con pochi e semplici controlli e verifiche.

Avevo già parlato del metodo nel mio articolo del 23 dicembre 2020 ma, in questo caso non si tratta di un metodo diverso per il calcolo dei ristori, ma se questi siano da erogare o meno in funzione dello stato attuale e pre-covid dell’impresa. Per questo servirebbe meno empatia, che ci porta inevitabilmente a dire di sì perché ci sentiamo vicini a chi soffre e più razionalità per evitare danni maggiori sia alle imprese coinvolte e ormai senza futuro e alle risorse finanziare dello stato che per fronteggiare l’attuale crisi si sta indebitando moltissimo e il conto graverà sulle spalle delle generazioni future.

di Claudio Bottos (Consulente del lavoro e di direzione strategica aziendale)

 


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Claudio Bottos
Consulente del lavoro e di direzione strategica aziendale

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