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19 aprile 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

Le antiche murrine di San Vito di Valdobbiadene

Tanti i ritrovamenti in zona, che spesso hanno alimentato falsi miti

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

Murrine di San Vito di Valdobbiadene

VALDOBBIADENE – Immaginate l’emozione di rinvenire in un campo degli antichi reperti, ancor più se si tratta di colorati monili in vetro. Lo sanno bene a San Vito di Valdobbiadene dove il frequente rinvenimento di quelle che comunemente chiamiamo murrine veneziane, ha alimentato miti e leggende. Ma anche se sulla questione qualcuno s’improvvisa esperto e attribuisce misteriosi significati a questi reperti le fonti storiche parlano chiaro.

Si tratta per lo più di scarti di lavorazioni, perline vitree di qualità non soddisfacente, lavorate a San Vito, dove però non erano prodotte ma semplicemente rifinite. Non era infatti inusuale che i vetrai di Murano commissionassero la lavorazione delle “rosette” a laboratori della terraferma e la località valdobbiadenese di certo ne ospitava almeno uno. Intendiamoci ciò non ne sminuisce il valore storico ma è opportuno dare la giusta collocazione agli eventi.

Da punto di vista documentale non è facile trovare notizie rigorose sulla questione ma sfogliando la pubblicazione “Studies Studi - Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro 1/2005” nel capitolo “La Rosetta. Storia e tecnologia della perla di vetro veneziana più conosciuta al mondo”, Gianni Moretti delle Vetreria Ercole Moretti di Murano illustra la questione in uno scritto dal titolo “Alcuni interessanti rinvenimenti archeologici”.

Verso la fine dell’Ottocento, scavando in alcuni orti a San Vito di Valdobbiadene (provincia di Treviso), vengono alla luce circa trenta chilogrammi di perle e frammenti di canna Rosetta. I reperti sono da allora conservati al Museo Civico di Treviso. Il loro aspetto e le loro caratteristiche esterne sono del tutto simili a quelli delle perle di laguna e ciò fa pensare che anche l’epoca di produzione possa essere la stessa. In grandissima parte si tratta di perle, dai diametri compresi fra i 15 e i 40 mm, rotte a metà lungo il foro e tutte molate a piramide tronca a sei facce (fig. 4a - 4b).

I pezzi di canna, che sono in quantità molto inferiore, sono chiaramente degli scarti, probabilmente eliminati perché non ritenuti idonei alla trasformazione in perle per i loro difetti. La notizia del rinvenimento di Valdobbiadene interessa più genericamente la vetraria muranese e non porta notizie particolarmente interessanti sulla storia della Rosetta. Il fatto che certi prodotti vetrari vengano rifiniti fuori Murano è una consuetudine alla quale si ricorre sovente quando si ritiene conveniente sfruttare le risorse energetiche del luogo.

In questo caso, non essendo stati trovati resti di forni né di crogiuoli, sembra che le perle siano state portate colà per essere molate sfruttando l’energia idraulica fornita dal fiume. La presenza di alcuni resti di perle o pezzi di canna che hanno chiaramente subito l’azione del fuoco può far pensare che accanto alla lavorazione mediante molatura sia stata effettuata anche quella a caldo, che è pure un tipo di finitura eseguito nel passato per perle di taglia piccola”.

Insomma, un ulteriore tassello alla ricca storia valdobbiadenese che giustamente è motivo di orgoglio per la comunità. Uno spaccato di antiche attività manufatturiere legate ai fitti commerci tra la città lagunare e l’Alta Marca spesso praticati con la navigazione fluviale. Va infatti ricordato che le zattere che solcavano il Piave, portavano il legname all’Arsenale ma al contempo, trasportavano anche ogni genere di merce dai prodotti alimentari a quelli della manifattura.

 

 


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Ingrid Feltrin Jefwa

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