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11 dicembre 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

L’ultimo maniscalco

Roberto Menegon e una professione inconsueta. Così antica e lontana, eppure ancora così valida

| Tiziana Benincà |

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| Tiziana Benincà |

roberto menegon

PIEVE DI SOLIGO - Un lavoro le cui origini risalgono a circa 4000 anni fa e ancor oggi non è mutato nulla da allora. La consapevolezza di svolgere un’attività particolare, dove il tempo si è fermato, dove il rapporto con il proprio “paziente” è fatto ancora di tatto, sensazioni, osservazione, per essere al suo servizio, come dice l’etimologia della parola stessa: uomo a servizio del cavallo, ovvero maniscalco.

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Roberto Menegon si presenta così, con l’umiltà che contraddistingue questa professione iniziata con successo dopo aver frequentato la Scuola di Mascalcia e Podologia del Corpo Veterinario dello Stato a Pinarolo, nei pressi di Torino: nove allievi su 480 richieste per un anno di preparazione che Roberto definisce “duro e difficile ma straordinario, in cui studiavamo e lavoravamo per 10-15 ore al giorno”. A quel tempo in Veneto i maniscalchi si contavano sulle dita di una mano, perché era un periodo di transizione, in cui non si utilizzavano più i cavalli per il lavoro in agricoltura - e a causa di ciò molti avevano abbandonato la professione – ma si poteva lavorare, come oggi, solo su cavalli sportivi.

 

“Mi sono inserito immediatamente nel contesto lavorativo, perché a scuola mi ero appassionato ad una patologia particolare relativa all’eccesso alimentare nel cavallo. A scuola avevamo a disposizione una cinquantina di animali con diverse patologie per studiare e risolvere le diverse casistiche. Grazie a questi studi ho capito come fare per salvare animali che altrimenti avrebbero dovuto essere abbattuti. Il mio primo incarico è stato proprio per il pony di una contessa al Lido di Venezia che soffriva di questa patologia e un veterinario le aveva fatto il mio nome avendo sentito parlare di un ragazzo della scuola di Pinarolo che si era specializzato sull’argomento. Da lì il passaparola mi ha sempre accompagnato; un tempo c’era modo di confrontarsi tra colleghi, di discutere, in un clima diverso rispetto ad oggi. Purtroppo la scuola di Pinarolo, la migliore in Europa, è stata chiusa nel 2017, ma fortunatamente anche mio figlio Marco è riuscito a frequentarla ed oggi collaboriamo”.

 

Ci si chiede quindi come si possa intraprendere un lavoro millenario se non esiste una preparazione adeguata ai giorni nostri e Roberto spiega: “Molti giovani vorrebbero svolgere questa professione, quindi si avvalgono di vari corsi, ma manca un inquadramento, che è la scuola. Alla fine degli anni ’90 ho anche insegnato podologia all’Università di Padova nella Specializzazione Cavallo Sportivo, portando i ragazzi sul campo per vedere personalmente cosa facevo e come si poteva risolvere problemi intervenendo tempestivamente sul piede. Questa specializzazione purtroppo è stata tolta ed ora insegno per la FISE (Federazione Italiana Sport Equestri) ai corsi di formazione di istruttori, perché è importante abbiano un’infarinatura di veterinaria, mascalcia e podologia essendo sempre a contatto con l’animale”. La passione per gli animali e per la podologia Roberto l’ha sempre avuta fin da piccolo, forse grazie all’ambiente familiare, vivendo in una casa di contadini, e grazie allo zio in Francia, proprietario di due malghe. Quando parla della sua professione si avverte la responsabilità sulle sue spalle, la capacità di poter rimettere a nuovo un animale che altrimenti potrebbe venire abbattuto solo guardando il piede “perché il piede è qualcosa di estremamente vivo. Quando ci sono delle zoppie o problematiche particolari, noi maniscalchi riusciamo a riconoscerle dal piede che è come una carta geografica. Quando tolgo il ferro vedo quanta salute ha il cavallo, perché il piede mi scrive il suo stato di salute sul ferro, potrei fare la lettura del ferro senza nemmeno guardare l’animale. La cosa particolare in Italia è che non esistono più allevamenti di cavalli e quindi chi vuole acquistarli deve recarsi all’estero. Ovviamente i cavalli migliori non vengono venduti, per cui quelli che arrivano nel nostro Paese hanno delle problematiche che noi riusciamo facilmente a risolvere”.

 

Roberto, originario di Fontigo, vive oggi in una zona incontaminata di Barbisano, con la moglie Ariella con cui condivide ettari di terreno e la passione per la natura. In questo angolo di Paradiso sta allestendo un piccolo museo con pezzi unici o storici di ferri: dalle ciaspole per cavalli, alla copertura simile a quella che usavano i Romani, ai ferri utilizzati per evitare qualsiasi slittamento, al primo ferro creato per il pony della contessa. All’interno anche gli attrezzi del mestiere, la sua officina per produrre su misura i ferri terapeutici “A metà degli anni ’80 un’azienda italiana ha iniziato a costruire i ferri, ma in numero limitato e quindi io per anni me li sono fatti. Oggi non avrebbe senso perché l’industria italiana fa dei ferri perfetti e i cavalli vanno ferrati ogni 40 giorni circa, perché l’unghia cresce. Se invece si tratta di un cavallo con una problematica, dopo averlo visitato vengo a casa e preparo il ferro. Per me questi sono gli anni più belli e più interessanti: posso dar fondo a tutte le mie conoscenze e le mie esperienze e quindi affronto tutto con più tranquillità” conclude Roberto. Una professione lunga millenni, dove l’empatia, il rispetto e il contatto rimangono i principi basilari da cui nascono connessione, percezione e comprensione; un salto in una dimensione parallela dove il tempo sembra essersi fermato, dove l’uomo e l’animale sono in grado di trovare un linguaggio comune per il bene reciproco.

 



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Tiziana Benincà

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