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29 marzo 2024

Vittorio Veneto

L’ex lanificio Cerruti rinasce come cittadella del sigaro

Chiuso da oltre un decennio, nell’ex Policarpo Cerruti il nuovo quartier generale del Moderno Opificio del Sigaro Italiano

| Claudia Borsoi |

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| Claudia Borsoi |

L’ex lanificio Cerruti rinasce come cittadella del sigaro

VITTORIO VENETO - Al posto degli orditoi e dei telai, vasche per la fermentazione e camere per la stagionatura. Protagonista sempre una materia prima naturale, un tempo la lana, ora le foglie di tabacco, che mani umane plasmano.
Si appresta a rinascere uno degli storici contenitori vuoti della città. L’ex lanificio Policarpo Cerruti sarà la nuova cittadella del sigaro dove, partendo dalla lavorazione delle foglie del tabacco si arriverà, dopo un processo scandito da numerose lavorazioni che dura circa un anno, al prodotto finale, il sigaro, da commercializzare in tutto il mondo. E questo grazie all’investimento multimilionario di vittoriesi che hanno voluto portare in città il loro business, che genererà anche nuovi posti di lavoro, ridando vita ad un complesso industriale che da oltre un decennio era chiuso.
La coltivazione dei bachi da seta, la bici Graziella, i biscotti Colussi, i filati, la calce idraulica e tanto altro hanno fatto la storia e la fortuna di Vittorio Veneto nell’ultimo secolo. Ora, la città punta a diventare il primo polo italiano del sigaro.

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Da lanificio a cittadella del sigaro



Il lanificio Cerruti ha dato lavoro a generazioni di vittoriesi. Situato a Santa Giustina in via Marconi, lungo il fiume Meschio, venne fondato nel 1946 da Pietro Cerruti, disegnatore tessile, che diede al lanificio, che sfruttava gli spazi di quella che era stata in precedenza una caserma e prima ancora un convento, il nome del padre e maestro, Policarpo.
Nei decenni la struttura originaria venne ampliata, assumendo le dimensioni odierne di circa 150mila metri cubi, arrivando a contare negli anni d’oro oltre 600 dipendenti (all’interno rimane ancora il garage per biciclette con 600 posti), rappresentando fino al 2009, anno di chiusura, un importante volano economico e sociale per la città con un prodotto che veniva esportato in tutto il mondo. Con la chiusura del lanificio, l’immobile di via Marconi è entrato insieme, ad esempio, all’ex Italcementi o all’ex Colussi nella lista dei contenitori vuoti della città testimoni di un fiorente passato imprenditoriale.
Sul finire del 2022, il cambio di rotta. L’ex lanificio, di proprietà delle famiglie Pianca e Gerometta, è stata acquistato dall’immobiliare della famiglia Pietrella, tra i fondatori, nel 2014, di Mosi, il Moderno Opificio del Sigaro Italiano che oggi ha il suo quartier generale ad Orsago, ma che nel corso di quest’anno inizierà a trasferirsi in via Marconi, dove prenderà vita la cittadella del sigaro.



Un’azienda in espansione



«Il mercato del sigaro – spiega Cesare Pietrella, affiancato dal figlio Philip e dall’altro cofondatore di Mosi, Andrea Casagrande – è in forte crescita. Siamo passati da 13 dipendenti, 500mila sigari e una quota mercato dello 0,3% del 2014, a 102 collaboratori, 24 milioni di sigari e una quota di mercato italiano del 15% nel 2022, con l’obiettivo di qui a cinque anni di arrivare al 51%. E per fare questo, abbiamo bisogno di ulteriori spazi per potenziare la lavorazione del tabacco grezzo. Abbiamo così iniziato a ragio- nare su una nuova sede che fosse vici- na ad Orsago, in modo da ottimizzare i costi. Il sentimento e l’amore per Vittorio Veneto ci ha fatto scegliere l’ex Cerruti. Io conoscevo bene il lanificio: ho trascorso la mia infanzia in via Caprera e ricordo come quella via e tutta la zona di Porta Cadore fossero molto vive, ricche di attività e di negozi quasi tutti oggi chiusi. Ecco che, ripensando a quei tempi, per rilanciare tutta l’area ho deciso di acquistare l’ex lanificio per farne la cittadella del sigaro, con la consapevolezza che questa nuova attività farà crescere anche il territorio attorno. Inoltre, poter dire che il nostro sigaro Ambasciator Italico viene fatto a Vittorio Veneto, sarà per noi motivo di orgoglio. Vogliamo con questo progetto arrestare la decadenza che ormai da anni segna la nostra città». L’investimento, tra acquisizione della struttura che conta 27mila metri quadrati coperti e nuovi macchinari (realizzati da un’azienda vittoriese), è di 10 milioni di euro. Tra i progetti c’è anche quello di poter utilizzare l’acqua del fiume Meschio, dopo apposite autorizzazioni, per le operazioni di fermentazione del tabacco, dopo che nei secoli passati quest’acqua è stata utilizzata per le operazioni di tempra delle spade da parte dei maestri spadai serravallesi e qui, all’interno del lanificio, per diluire i colori con cui venivano tinti i tessuti.
La cittadella del sigaro punta - visti i tempi - ad essere autosufficiente dal punto di vista energetico: per questo da gennaio partiranno tutta una serie di lavori per dotare la struttura di pannelli fotovoltaici e per riattivare la centralina idroelettrica qui presente. Nei prossimi mesi anche gli interventi interni di adeguamento della struttura alla nuova produzione.



Il primo sigaro made in Vittorio Veneto



Il Moderno Opificio del Sigaro Italiano nasce nel 2013 da un’idea di Cesare Pietrella, nel campo del commercio del tabacco da oltre trent’anni, e di Andrea Casagrande, che è anche consigliere comunale a Vittorio Veneto. I primi Ambasciator Italico - questo il nome scelto da Mosi per il proprio sigaro – vengono commercializzati nel 2014. «La volontà – ricorda Pietrella – era quella di creare un’alternativa al sigaro toscano che, all’epoca, era l’unico prodotto italiano. Abbiamo quindi rotto anche il monopolio nella coltivazione del tabacco in Italia, non senza difficoltà».
Per l’Ambasciator Italico viene impiegato solo tabacco italiano o proveniente dal Nord America, e sempre della varietà Kentucky. Per la produzione del tabacco, Mosi conta proprie piantagioni nel veronese – vorrebbe portarne anche in terra trevigiana così da diversificare il territorio dall’ormai monocoltura a prosecco e fornitori in Toscana, nel basso Lazio e in Campania.
In Campania, a Benevento, ha sede il centro di Mosi per la raccolta del tabacco (vi lavorano una quindicina di persone). Qui, dopo una prima lavorazione in cui la foglia viene lasciata ingiallire e poi “ammaronata” con l’apporto di calore e fumo generato dalla combustione di legna di quercia o rovere, vengono eseguite le operazioni di fermentazione della foglia in acqua, al termine delle quali, dopo varie settimane, il tabacco viene battuto e ridotto in pezzetti. Terminato questo processo, la vera e propria costruzione del sigaro e la successiva maturazione, a cui segue l’inscatolamento del prodotto finito, avvengono ad Orsago, dando qui lavoro, tra addetti e venditori, a 87 persone. Entro la fine di quest’anno, ultimati i lavori di riconversione dell’ex la- nificio dove già sono stati stoccati i primi macchinari, parte della produzione e della forza lavoro inizierà ad essere trasferita a Vittorio Veneto. «All’ex Cerruti – spiega Andrea Casagrande – concentreremo la produzione dei sigari neutri, cioè quelli non aromatizzati, che continueranno invece ad essere fatti ad Orsago. E a Vittorio Veneto eseguiremo anche una parte della prima lavorazione del tabacco. Manterremo la sede a Benevento, concentrandovi la lavorazione della stabilizzazione. A Vittorio Veneto arriveremo a stoccare nel nostro magazzino su tre piani fino ad un milione e mezzo di chili di tabacco in foglia grezza curata. Qui poi verranno eseguite le operazioni di fermentazione in acqua, usando speriamo quella del Meschio, seguite dalla batti- tura e dalla costruzione dei sigari, che saranno riposti nelle celle di fermentazione e maturazione prima di essere impacchettati e infine essere riposti nel deposito fiscale, pronti per essere spediti in tutta Italia e nel mondo. Nel corso di quest’anno saremo operativi con le prime linee all’ex Cerruti e nel giro di tre anni la nostra forza lavoro salirà a 140 dipendenti, di cui una ventina rimarranno a Orsago. Dunque ci saranno anche nuove assunzioni. Il mercato è florido e siamo gli unici ad essere riusciti a creare un’alternativa al sigaro toscano».
La produzione dell’Ambasciator Italico – si impiegano tabacco, acqua e amido di mais quale collante - segue in tutte le sue fasi vari standard di qualità. E la stragrande maggioranza della forza lavoro è donna, a cui è riconosciuta una maggiore attenzione in questo tipo di lavorazione manuale. «Ci definiamo artigiani del tabacco – sottolinea Casagrande -. Al momento proponiamo 10 sigari diversi, a cui si aggiungono le edizioni limitate. Nei prossimi mesi potenzieremo il settore dei sigari fatti interamente a mano e ci saranno nuovi lanci di prodotto. Uno dei prossimi obiettivi sarà essere ancora più presenti all’estero».


Fatturato: superati i 10 milioni di euro



Il 2022 è stato chiuso da Mosi con un fatturato record, con giro d’affari per il 99% dal mercato italiano. «Nel 2020 – ripercorre Philip Pietrella – abbiamo chiuso a 4 milioni, nel 2021 a 7,3 milioni e nel 2022 abbiamo toccato i 10,5 milioni di euro. 46 Paesi hanno chiesto il nostro prodotto. La svolta per Mosi è arrivata nel 2021 quando la multinazionale del settore Scandinavian Tabacco Group è entrata nel capitale della nostra società, condividendo il nostro progetto di crescita e mantenendo il management aziendale tutto italiano. Di qui ad un paio d’anni puntiamo a superare il 25% della quota di mercato italiano e da qui a 5 a toccare il 51%. Il mercato di sigari italiano è il più grande d’Europa».
La policy aziendale rimarca, anche sulle confezioni, che “il fumo uccide”. Il mercato è comunque in espansione e non ha avvertito negli ultimi tempi alcuna crisi, né quella innescata dal Covid-19, né quella collegata alla guerra in Ucraina. Se altre aziende chiudevano o tagliavano, Mosi invece assumeva. E ad inizio pandemia, pri- ma ancora che ci pensasse il Governo, aveva introdotto per i propri dipendenti con figli il bonus bebè. «Anche durante la pandemia siamo cresciuti – ricorda Pietrella -. Probabilmente, avendo più tempo a disposizione, molti si sono avvicinati al sigaro, che è un fumo lento. Il fumatore tipo del nostro Italico ha tra i 30 e i 50 anni, dunque una fascia di età più giovane rispetto a coloro che fumano il toscano, indistin- tamente uomo o donna».

Claudia Borsoi

 


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