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28 marzo 2024

Treviso

Imprenditore trevigiano: "Mio figlio come Eitan portato all'estero dalla madre"

"Da 4 anni mia moglie lo tiene con sé in Ungheria"

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TREVISO - "Quando ho sentito la storia di Eitan, portato in Israele dal nonno, mi si è gelato il sangue. Ancora una volta, ho pensato, ancora un bambino innocente destinato a soffrire. Il piccolo già sopravvissuto alla tragedia del Mottarone è stato strappato alla famiglia materna che lo aveva accolto e messo su un volo privato verso il paese dei nonni paterni, mio figlio portato da sua madre in Ungheria". A parlare all'Adnkronos è un imprenditore della provincia trevigiana che oggi ripercorre il suo dramma tornato attuale con la storia tanto simile costata al nonno di Eitan l'iscrizione nel registro degli indagati per sequestro di minore. "Quando ieri sera stavo guardando il tg mi è andato il boccone di traverso - racconta l'imprenditore di Mogliano Veneto - il nonno lo hanno indagato per sequestro, mia moglie risulta ancora indagata ma per sottrazione di minore. E sono passati quattro anni".

La storia è simile, dolorosa, e vede al centro ancora un bambino conteso. "Da un giorno a un altro mi sono ritrovato senza mio figlio, che all'epoca dei fatti aveva 7 anni. Era il 9 ottobre 2017 - racconta - la notte prima avevamo dormito tutti insieme in casa nostra, come sempre, l'indomani al ritorno dal lavoro non ho più trovato né lui né mia moglie, fuggita al volante del suv che le avevo regalato alla volta del suo paese d'origine. Da allora nessuno psicologo si è premurato di indagare su un possibile trauma subito da mio figlio, anzi l'uomo con il quale la madre ha condiviso da subito il letto al loro arrivo in Ungheria ne ha pure richiesto l'affidamento e la psicologa ha voluto conoscerlo, perfettamente consapevole della relazione extraconiugale di mia moglie".

L'uomo, che a Treviso ha una ditta di pavimentazione, da quattro anni sta combattendo una battaglia legale, assistito dall'avvocato Fabio Crea, per riavere il suo bambino che oggi ha 11 anni. "Solo dopo dieci giorni dalla sua fuga - racconta - ho ricevuto una mail dalla madre e mia moglie (alla quale, ironia della sorte, se mi faccio male sul lavoro andrebbe pure l'eventuale risarcimento essendo noi ancora sposati) che mi spiegava che erano in Ungheria, il suo paese, dove era andata con nostro figlio perché era stanca. E' passato poi un mese e mezzo e sono riuscito a riabbracciarlo, sempre alle sue condizioni, due ore al giorno dopo il viaggio dall'Italia. Il primo anno andavo due volte al mese per vederlo due ore in tre giorni".

"Uno stillicidio aggravato dal fatto che nessun giudice si decide ad ascoltare la vittima di tutto questo, mio figlio - continua l'imprenditore - che vuole stare a casa sua, con me. Che piange e urla, che sta bene quando è qui, che non vuole tornare quando riesco a farlo venire, che non si è abituato al cibo ungherese e lo rifiuta, che ha impiegato sei mesi per imparare la lingua che si è ritrovato a dover parlare da un giorno a un altro in una scuola che non era la sua, in un paese che non è il suo, con amici che non sono più quelli con i quali è cresciuto. Mai nessuno ha approfondito questa cosa, nemmeno la psicologa. Se il mio bambino stesse bene e fosse felice di star lì, potrei farmene una ragione. Ma non è così e non posso arrendermi. Sto facendo di tutto per risolvere la situazione rispettando le norme, ma tutti questi sacrifici non mi hanno portato a nulla, anzi, mentre la madre che puntualmente le infrange ha raggiunto il suo obiettivo".

(di Silvia Mancinelli)
 

 


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