IERI E OGGI Piazza Fontana, capolavoro dei nemici della democrazia
La parola al testimone Guido Lorenzon: "Il patto di impunità ha favorito le stragi venute dopo e continua a condizionare la vita politica. Importante studiare educazione civica nelle scuole.

TREVISO - Guido Lorenzon è un signore dai modi cortesi, un uomo che coltiva una onestà d'altri tempi, capace spontaneamente di coniugare autorevolezza e umiltà. Guido Lorenzon è soprattutto una persona coraggiosa, di quelle che non si voltano dall'altra parte ma rischiano. E' stato il testimone che per primo consentì alla magistratura di fare luce sui responsabili dell'attentato di Piazza Fontana a Milano, il 12 dicembre 1969. Originario di Varago di Maserada, già professore di Lingua francese alla scuola secondaria, è giornalista libero professionista e su "Milano Finanza" ha raccontato gli ultimi vent’anni dell’industria del Nordest. Ha pubblicato "Teste a carico" (Mondadori 1976); "A domanda risponde" (Editoriale Altri Segni 1981), "Piazza Fontana. La pista di Treviso" (Giano Editore 2005). Insieme con Daniele Ferrazza propone agli studenti e alle associazioni il "Racconto civile", la narrazione dell’accaduto e del vissuto nei primi giorni e mesi dopo la scelta di testimoniare davanti il magistrato.
Iniziamo con lui e con la strage di Piazza Fontana, a cinquantadue anni dal tragico fatto, la lettura di alcune delle pagine della nostra Storia.
Guido Lorenzon è il testimone che ha permesso si svelare la verità su Piazza Fontana: cosa ha fatto, ma soprattutto perché lo ha fatto?
Sì, è vero. La Corte di Cassazione nel maggio 2005 ha sancito che Franco Freda di Padova e Giovanni Ventura di Castelfranco sono i responsabili della strage del 12 dicembre 1969, anche se non più perseguibili perché assolti in via definitiva in altro processo. Per quella strage nessuno è stato condannato. Ho scelto di essere testimone volontario per due ragioni. La prima: considero dovere di ognuno, e mio, indicare alla giustizia gli assassini; la seconda: nel corso degli ultimi mesi del 1969 Giovanni Ventura aveva esternato conoscenze inedite sugli attentati alla Fiera di Milano e sui treni; mi aveva spiegato il meccanismo e fatto vedere un tipo di timer adatto all'innesco di bombe. Visto che sapeva molte cose, gli ho detto di farle conoscere alla magistratura. Mi ha risposto di no. È toccato a me: nessun trevigiano, né in contemporanea, né dopo ha parlato con i magistrati.
Ma lei Ventura dove lo aveva conosciuto?
Giovanni Ventura studiava al Collegio Pio X di Borca di Cadore, dove io ero assistente. Non superò la maturità e quindi frequentò per un anno il Pio X di Treviso: così in città ci si rivedeva. Anche dopo, alla libreria "Galleria del Libraio" che frequentavo e della quale lui divenne gestore. Ha sempre manifestato passione per il fascismo e per l’ideologia di estrema destra. Ma era un ragazzo. Poi iniziò a parlare di fatti a me e a numerose altre persone. Io non sempre lo prendevo sul serio. Ma la strage mi ha presentato una sintesi di tutto e ho concluso che lui avrebbe potuto aiutare gli inquirenti a identificare gli assassini.
Com’erano quegli anni, tra gli estremismi del terrorismo rosso e dello stragismo nero?
Neofascisti e brigatisti uccidevano per creare paura e addossare la responsabilità agli altri. Il terrorismo rosso occupava piazze, gambizzava, rapiva e ammazzava avendo come scopo lo stesso dell’estrema destra: gestire il potere. Gli uni e gli altri, intensamente infiltrati, erano spesso guidati e stipendiati dai servizi segreti italiani. Percepivo l’Italia come la preda. Si salvò, ma ha ancora ferite con pericolo di cancrena. Avrebbe potuto essere un Paese migliore, più solidale, più giusto. Studi recenti, in particolare coordinati dal prof. Carlo Fumian dell’università di Padova, rendono conto dell’unicità sia dell’obiettivo, sia del potente gruppo clandestino di sostegno.
Lei coltiva la memoria di quella storia, andandola a spiegare nelle scuole e nei teatri: perché continua a farlo?
Le stragi senza colpevoli e l’intensa attività di spezzoni della politica e dello Stato per nascondere la verità, salvare i terroristi puntando il mirino avvelenato su altri innocenti hanno modificato l’Italia, che oggi è il risultato di quegli anni: farli conoscere aiuta i giovani a capire chi siamo. La strage di Piazza Fontana è il capolavoro dei nemici della democrazia. Fu programmata all’interno dello Stato, ne fu gestita l’attività per assicurare l’impunità ai colpevoli, sfiancare, far sparire o ammazzare testimoni, creare diversivi per depistare. Il patto di impunità ancora regge, continua a condizionare la vita politica e ha favorito le stragi venute dopo, spesso con le stesse persone. Una buona ragione per proporre educazione civica nelle scuole.
Il nostro Paese può rischiare ancora oggi di rivivere esperienze come quelle di Piazza Fontana?
Sì. Una decina di anni dopo c’è stata la strage di Bologna, stessa matrice politica. La ‘stagione’ di Piazza Fontana non è conclusa. Occupano posizioni apicali coloro che sanno la verità e possono ricattare le Istituzioni. La rete operativa della P2 e fiumi di danaro in nero, neofascismo, referenti politici, manovalanza criminale, militari e magistrati, organizzazioni mafiose (una di queste, ad esempio, ha organizzato la fuga e la latitanza del maggior imputato durante il processo di Catanzaro): sono questi i cosiddetti poteri occulti che studiosi e inchieste giornalistiche hanno portato alla luce. Ma siamo anche malati di tanta omertà. Si tace che la bomba di Piazza Fontana fu confezionata in un casolare di Paese, e c’era chi vedeva e sapeva. Si tace che la bomba della strage di Bologna del 2 agosto 1980 è partita da Fontane di Villorba. Credo proprio che i giovani trevigiani abbiano il diritto di essere guidati a capire il loro recente passato. Se non lo conosci, il pericolo sopravvive.