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20 aprile 2024

Montebelluna

Grave di Ciano: il Comitato chiede una verifica sulle scelte della Regione

Il Comitato per la Tutela delle Grave di Ciano difende i Contratti di Fiume

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

Piave a Ciano

CROCETTA DEL MONTELLO – Recentemente l’assessore regionale Bottacin ha criticato i Contratti di Fiume imputando a questi processi di democrazia partecipativa i ritardi nella realizzazione delle opere lungo i fiumi veneti e il pericolo idraulico che ne deriverebbe. Sulla questione la risposta del Comitato per la Tutela delle Grave di Ciano non si è fatta attendere visto che viceversa da tempo invoca l’attuazione dei Contratti di Fiume, anche come risposta alle pressanti pressioni di chi nei corsi d’acqua vede solo un’opportunità per scavare ghiaia.

I Contratti di Fiume sono processi di democrazia partecipativa finalizzati al miglioramento delle componenti ambientali dei fiumi e del territorio e vengono realizzati proprio per ovviare alle criticità del processo decisionale convenzionale, che innesca dinamiche conflittuali con le comunità, pregiudicando la realizzazione stessa di qualsiasi opera – spiega Franco Nicoletti, presidente del Comitato, nel lungo documento di risposta all'assessore, che pubblichiamo integralmente -. Nello specifico caso della Piave, dal 1970 (anno in cui si concludono i lavori della Commissione De Marchi) ad oggi sono trascorsi 50 anni e nessuna opera è stata realizzata per la sicurezza idraulica del bacino del fiume Piave. 50 anni di ritardo che non si possono addebitare ai processi di democrazia partecipativa dei Contratti di Fiume.

Il modello di sviluppo della Regione del Veneto si è imperniato (anche dopo la catastrofica esondazione della Piave del 1966) sullo sfruttamento del consumo di suolo, disseminando il territorio di zone industriali, capannoni ed estese zone residenziali anche in aree vulnerabili, aumentando il rischio idraulico, anziché contenerlo. Dal 2014 ad oggi numerosi processi di Contratto di Fiume sono stati attivati in Europa, in Italia e anche in Veneto. Nella nostra regione alcuni hanno portato a conclusione il proprio percorso, approntando un proprio Programma d’Azione, altri, invece, non hanno concluso i cicli partecipativi programmatici, anche a causa del disinteresse della Regione del Veneto, oltre che per l’insipienza degli enti locali (si vedano i casi dei Contratti di Fiume Meolo Vallio Musestre, Melma Nerbon, ...). Eppure i Programmi d’Azione dei Contratti di Fiume sono coerenti e hanno tutte le caratteristiche adatte, per essere inseriti nel Programma Regionale per la Ripartenza e la Resilienza e per ricevere i finanziamenti dei programmi europei Next Generation EU (dai 75 ai 90 miliardi € destinati al contrasto della crisi climatica, per la tutela dell’ambiente e della biodiversità).

La vulnerabilità del territorio veneto al pericolo idraulico e geologico determina uno stato di perenne affanno ed emergenza: ciò è causato dalla mancanza di una cultura di efficace prevenzione. A questo servono i Contratti di Fiume: a conoscere, progettare, programmare in modo condiviso la tutela del territorio. Nelle affermazioni dell’Assessore Regionale Gianpaolo Bottacin e nel Piano delle Azioni e degli Interventi (OPCM) a firma del Presidente della Regione Veneto Luca Zaia in qualità di Commissario Delegato riscontriamo, peraltro, la volontà di dare esecuzione alla progettazione ed alla realizzazione delle casse di espansione sul sito delle Grave di Ciano senza tener conto delle esplicite indicazioni date dall’allora Autorità di Bacino che, tramite il Piano Stralcio Sicurezza Idraulica (PSSI),indicava come sito più idoneo la località di Ponte di Piave.

Nel PSSI le possibili soluzioni di casse di espansione vengono confrontate tra loro sulla base di macro indicatori al fine di identificare una graduatoria di priorità in funzione di alcuni parametri fondamentali: il costo (Ciano 77,5 milioni di euro contro i 51,7 milioni di Ponte di Piave), l’efficacia, l’impatto (le Grave di Ciano sono riconosciute dalla Comunità Europea come zone ZSC e ZPS all’interno di rete Natura 2000, massime protezioni ambientali Europee per la difesa della biodiversità, a differenza di Ponte di Piave caratterizzato dalla forte antropizzazione del territorio), la cantierabilità.

In relazione a questi parametri l’Autorità di Bacino ha individuato, per le possibili soluzioni, un ordine di preferibilità con al primo posto il sito di Ponte di Piave, “se realizzate nella loro interezza, le casse di espansione a Ponte di Piave potrebbero esplicare una riduzione del colmo della piena valutabile in circa 800 m3/s pari a circa 38 milioni di mc”, circa gli stessi previsti dalle casse di espansione a Ciano.

A tale opera dovrebbe essere accompagnato, sempre come previsto dal PSSI, un uso spinto dei serbatoi idroelettrici montani, obbligando i gestori dei bacini idroelettrici a svuotarli dai sedimi accumulatisi negli anni e a una corretta gestione dei livelli dell’acqua garantendo così una capacità di stoccaggio aggiuntiva, sia per prevenire esondazioni, sia per garantire il deflusso vitale minimo del fiume e sia per approvvigionare di acqua sufficiente a soddisfare le necessità delle coltivazioni agricole di pianura. Sedimi mai asportati dagli attuali gestori per motivi economici, non ottemperando a quanto previsto contrattualmente nelle concessioni che scadranno fra pochi anni.

In riferimento alle circostanziate considerazioni sopra esposte e formulate dall’Autorità di Bacino, alla contrarietà all'opera espressa dalle Amministrazioni Comunali e Sindaci dei Comuni di Crocetta del Montello, Montebelluna, Caerano di S. Marco, Volpago del Montello e Nervesa della Battaglia chiediamo, quindi, all’Assessore Bottacin e al Presidente Luca Zaia, in quanto firmatario del Piano Azioni e Interventi, sulla base di quali dati tecnici e/o “prove scientifiche” (così come definite dall’Assessore stesso), numeri alla mano, la Regione Veneto ha individuato per la realizzazione delle casse di espansione il sito di Ciano come soluzione più idonea e prioritaria. Questa documentazione, se esistente, non ci risulta pubblica.

In merito ai lavori condotti negli ultimi 5 anni per un importo pari a 108 milioni di euro chiediamo che venga resa pubblica l’evidenza scientifica che giustifichi quella tipologia di opere effettuate, tra cui il taglio di alberi pluridecennali sugli argini e le escavazioni attuate molto spesso senza una relazione idraulica, che hanno di fatto accentuato i processi di erosione , l'aggressività delle correnti fluviali e la velocità delle morbide e delle piene : Ponte di Piave e Fagarè vanno in pericolo per questo e l'ufficio regionale del Genio Civile continua ad autorizzare questi lavori in collaborazione con il C.R.I.F., il Consorzio dei Cavatori che operano nel territorio. Opere che presumiamo neppure l’esimio Ing. D’Alpaos vedrebbe con favore.

Ribadiamo comunque per l’ennesima volta che come Comitato siamo a completa disposizione per partecipare in modo costruttivo al tavolo di concertazione previsto dai contratti di fiume al fine di individuare assieme scelte che possano scongiurare, se possibile, la realizzazione di opere dal così alto impatto ambientale ed economico come le casse di espansione. A riprova di ciò abbiamo inviato 5 comunicazioni scritte, 2 alla Regione e 3 all’Autorità di Distretto (la prima ancora a marzo), a cui ci è stato risposto che terranno in considerazione la nostra disponibilità e che ci terranno aggiornati sugli sviluppi, di cui a tutt’oggi non abbiamo avuto alcuna notifica. Si sono così persi 9 preziosi mesi in cui si sarebbe potuto portare avanti il progetto”.
 

 



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