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28 marzo 2024

Vittorio Veneto

GENTILINI SHOW

Le origini, la politica, il futuro. Lo sceriffo si racconta.

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Vittorio Veneto - Istrionico, provocatorio, eccessivo. Nella serata di presentazione del libro a lui dedicato (Paolo Calia, “Gentilini. Il sindaco sceriffo”, EdizioniAnordest) nella “sua” Vittorio Veneto, Giancarlo Gentilini ha offerto un ritratto di sé a tutto tondo. Esperienze di vita e politica, condite da una buona dose di autoironia. 
Ecco qualche passaggio del suo intervento alla biblioteca civica.

Le origini. «La mia natura è di serravallese. I serravallesi hanno un dna particolare perché nelle invasioni barbariche, i barbari i ‘rivea fin a Zèneda e si fermavano di fronte alle fortificazioni serravallesi. Quindi la razza era più pura. 
Io sono l’uomo de Seraval, dea Croda, del Mesch».

La naia. «Ho fatto venti mesi di naia. Oggi l’hanno eliminata: grave errore. Con me c’erano pastori abruzzesi e della Val Brembana analfabeti e allora io, che ero appena laureato, scrivevo le lettere d’amore per questi pastori. La naia è stata una grande maestra di vita, quella che viene a mancare oggi».

L’elezione. «Nella mia vita ho fatto il contadino, il venditore di pesce e di frutta e verdura, il muratore, venti mesi di naia, l’avvocato. Un giorno, Paolo Gobbo mi dice: “Giancarlo, vuoi diventare sindaco di Treviso?” 
Mi sono messo a ridere: io, un avvocatino, un piccolo vasetto di creta in mezzo a tanti vasi di acciaio democristiani, socialisti, fascisti e repubblicani. 
Ma nel mio intimo ho uno spirito goliardico e mi sono buttato. Stranamente, i cittadini trevigiani capirono che era arrivato il momento del cambiamento. Vinsi, contro tutti i pareri politici».

Vita da sindaco. «Ho portato una ventata nuova di onestà e trasparenza che da decenni si era persa. 
Cominciai ad affrontare tutti i problemi senza mai aver paura di niente, ma dicendo alla gente “Se trovo uno che tocca un euro dei cittadini, ghe tajo ‘a testa”. E questa è stata una carta vincente perché finalmente, nel municipio di Treviso, avevo tagliato tutti i tentacoli dei potentati.
Ho avuto due o tre tentativi di corruzione e ho detto: “‘scolta onorevole, la veditu quea porta? Te la ‘traversi senza aprirla”. E non ho più avuto tentativi di corruzione».

La preveggenza. «Rispetto a tanti politici, ho qualche qualità divinatoria. Io vedo il futuro dieci anni prima. Tanto è vero che le cose che dicevo a metà degli anni ‘90 si sono tutte avverate e le hanno realizzate coloro che sono venuti dopo di me. 
Hanno capito che quando dicevo “bisogna blindare i confini, bisogna fermare le navi in acque territoriali, bisogna che gli extracomunitari si comportino come si sono comportati i nostri emigranti quando andavano all’estero”, avevo ragione. 
Maroni mi ha detto, “Caro Gentilini, tu sei lo sceriffo d’Italia numero 1, io sono il numero 2. Giancarlo, io mi sono ispirato a tutti i tuoi pensieri del passato per realizzare la legge sulla sicurezza”».

Il dialogo interreligioso. «Ho detto agli islamici, pregate come faccio io. Quando vado a letto dico un Pater ave gloria, voi pregate Allah. Non occorre che vi sbucciate le ginocchia sui tappeti o per terra, la preghiera deve essere una cosa intima, senza bisogno di grandi dimostrazioni oceaniche».

Il terrorismo. «Credo che adesso anche da parte del governo ci sia una presa di posizione nei confronti del burqa, dei terroristi. 
Quando io dicevo “ci sono migliaia di terroristi che girano per l’Italia”, quando dicevo che c’erano le cellule dormienti, venivo massacrato. Ma adesso quelle cose si stanno verificando».

Gli eredi. «Ora gli sceriffini stanno nascendo un po’ da tutte le parti: Tosi, Zaia... Scottà e Da Re (intervenuti alla serata, ndr). Devono lasciare l’impronta, chi non lo fa viene dimenticato dalla storia. Mi, senza saverlo, go assà ‘e zàpeghe da una parte e da quell’altra, tanto è vero che su di me hanno fatto anche un libro. 
E adesso, vicino a Dante, a Macchiavelli, ghe se scrito Giancarlo Gentilini. Chissà chi era costui».

Giancarlo Gentilini alla presentazione del suo libro

 


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