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29 marzo 2024

Treviso

Ex caserma Serena: “Chi è sano vive nel terrore, la struttura va chiusa!”

Cosa sta succedendo nell’ex caserma Serena? Lo abbiamo chiesto a chi quotidianamente ha contatti con gli ospiti

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

Ex caserma Serena a Casier

CASIER – Cosa sta succedendo nell’ex caserma Serena a Casier, il centro di accoglienza per richiedenti asilo assurto agli onori della cronaca, per la positività Covid di parte dei residenti? Una domanda motivata dal fatto che la struttura, a fronte di ragioni sanitarie è nuovamente blindata. L’ultimo focolaio che ha riguardato 133 persone ha, infatti, imposto l’ennesimo lockdown, il terzo per la precisione. Già perché oltre al primo che tutti gli italiani hanno vissuto con la pandemia, alla Serena c’è stata una seconda quarantena quando uno degli operatori, di origine pachistana, è risultato positivo al Coronavirus dopo un viaggio in Asia. Quindi ora è scattato il terzo lockdown, conseguentemente alla positività di oltre un terzo degli ospiti.

In questo centro dove vivono 293 persone, da oltre 1 anno e mezzo non ci sono più nuovi arrivi. In prevalenza si tratta di giovani richiedenti asilo, per tanto in attesa che gli venga riconosciuto lo status di rifugiati come sancito dalla convenzione di Ginevra del 1951 dove all’articolo 1 si legge: “… chiunque, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”.

Ciò premesso, per comprendere la situazione nell’ex caserma a fronte dei timori espressi da più parti per questo focolaio (che tra l’altro si è verificato in piena campagna elettorale) abbiamo interpellato dapprima Gianlorenzo Marinese, presidente della società Nova Facility che ha in carico la gestione della struttura di Casier. Marinese ci ha spiegato di non poter rispondere alle nostre domande a fronte del timore che le sue parole possa essere mal interpretate alimentando reazioni inconsulte da parte di alcuni facinorosi in seno alla struttura. All’inizio di giugno, in occasione del primo caso accertato, l’imposizione della quarantena aveva, invero, destato reazioni sopra le righe da parte di un gruppo di ospiti.

Ad ogni modo Marinese ci assicura un’intervista a quarantena conclusa, con tanto di visita all’ex caserma ma previo richiesta scritta al Ministero degli Interni. Abbiamo quindi chiesto a Monica Tiengo, che lavora per ADL Cobas e quotidianamente ha contatti con i residenti della Serena, quali notizie le giungano dalla struttura: “Molti ragazzi mi hanno telefonato disperati perché non sono positivi e temono che la vicinanza con chi lo è, possa esporli a un grave rischio”. Monica spiega poi che il clima è pessimo perché oltre alla paura per la propria salute c’è anche la frustrazione di dover fare i contri con le conseguenze della terza quarantena.

“Quasi tutti i residenti della Serena hanno un lavoro: c’è chi fa il lavapiatti, chi il cameriere, altri invece sono impiegati in agricoltura – precisa Tiengo -, lavori umili ma che gli consentono di essere autonomi, di condurre una vita dignitosa e più banalmente di fare anche la spesa al supermercato. La paura di perdere il lavoro, per la quarantena, è fortissima”. Monica ci tiene a precisare che per questi ragazzi avere un impiego per quanto modesto è una conquista immensa e li riscatta da una condizione di dipendenza spesso umiliante. Banalmente anche dover mangiare nella struttura per molti è un peso oltre che un problema: “Quando 5 anni fa è stata aperta la struttura molti ragazzi si sono ammalati perché il loro metabolismo non digeriva la pasta”.

Monica Tiengo opera nella scuola d’italiano per i richiedenti asilo, da qui la sua vicinanza a questo microcosmo sconosciuto ai più e spesso oggetto di preconcetti: anche a lei va il merito se buona parte degli ospiti dell’ex caserma parlano correntemente l’italiano. “C’è un malessere profondo anche perché rischiano di perdere l’opportunità di presentare la domanda di sanatoria, visto che la scadenza è il 15 di agosto”: aggiunge Monica spiegando che pur di regolarizzare la loro posizione, visti i tempi lunghi per l’ottenimento dello status di rifugiati, molti hanno scelto di presentare domanda di sanatoria (anche se di fatto non sono clandestini avendo fatto istanza di asilo).

“Bisogna capire che pur di avere una vita normale, senza coprifuoco quotidiano alle 20 (non sono criminali), pur di andarsene dalla Serena – aggiunge Tiengo – preferiscono rinunciare all’asilo: in questo modo verrebbero buttati fuori della struttura ma per loro significherebbe poter avere una vita normale, un lavoro stabile, una casa. Già perché c’è oramai una consolidata rete sociale, di amici e connazionali che li può aiutare a sistemarsi in maniera dignitosa. La sanatoria è un’opportunità irrinunciabile e molti hanno anche già pagato per ottenerla”.

Perciò ai timori per la propria salute, per la perdita del lavoro si aggiunge anche quello di dover rinunciare ad un’opportunità di vita indipendente, senza dover pesare sulle istituzioni: così Monica spiega il perché del clima di esasperazione dei ragazzi. Chiaramente senza giustificare in alcun modo la violenza, è evidente che in una situazione simile la serenità emotiva possa vacillare, lo abbiamo visto anche in situazioni ben più banali con diversi giovani, che dopo il lockdown hanno animato le cronache locali, con comportamenti sopra le righe.

E allora cosa fare anche per rispondere a chi guarda con perplessità a questa struttura? “L’esasperazione è alle stelle, compresa quella legittima dei residenti del quartiere stanchi di una situazione che difficilmente può essere considerata vivibile – conclude Monica, affermando -. L’ex caserma Serena va chiusa! In questo momento per quanto mi viene detto dai ragazzi è una bomba a orologeria dal punto di vista sanitario. Questa struttura andava chiusa da tempo anche a fronte del fatto che sia sempre stata inaccessibile a volontari e organizzazioni che tra l’altro si erano resi disponibili a dare una mano: circostanza che mi porta a considerare fondati i racconti dei ragazzi di una situazione igienico sanitaria che può solo favorire la diffusione del Covid”.

 

 

 


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Ingrid Feltrin Jefwa

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