Dazi sul vino europeo: chi guarda al futuro pensa più all’Africa che agli USA
L’esempio lungimirante di chi ha puntato sul mercato africano con successo

EDITORIALE – I dazi USA sui vini europei impongono un approfondimento sulle esportazioni per capire quanto ci possano penalizzare i provvedimenti americani ma soprattutto se ci sono strade alternative. Consultando i dati pubblicati da Statista nello studio “America’s One-Sided Love of European Wine”, che fa riferimento ai valori ufficiali del 15 dicembre 2023, emerge in maniera ben evidente che su oltre 5 milioni di ettolitri di vino europeo venduto negli USA la provenienza è in prevalenza italiana. Già perché bene 3,5 milioni sono bottiglie provenienti dal Bel Paese, mentre 1,7 milioni dalla Francia, vale a dire circa la metà rispetto all’export italiano. Il resto sono quantità irrisorie da Sapagna, Portogallo e Germania, quest’ultima però vede maggiore l’importazione di vini dagli USA, rispetto alla vendita dei propri prodotti enologici. Per chi si è già perso tra i numeri conviene consultare la tabella sottostante, di facile lettura.
A fronte di oltre 5 milioni di ettolitri di vino europeo, in larga maggioranza italiano, il valore stimato dell’export enologico in USA è pari a 4,5 miliardi di dollari. Un dato monetario decisamente significativo. Ora i quesiti da porsi sono due. Perché l’Italia, malgrado sia il paese a maggior export verso l’America, si sia preoccupato così tardivamente: forse confidando su un “trattamento di favore” in virtù degli amabili rapporti personali tra la premier Meloni e il presidente Trump? In secondo luogo, perché i produttori italiani hanno puntato in maniera così importante soprattutto sugli USA? Il primo quesito è destinato a non avere risposte vista la sua natura squisitamente politica. Viceversa sul secondo è utile aprire una riflessione. Certo, che gli americani manifestino un gradimento tanto generoso verso i vini italiani, non può che essere un bene ma ora con i dazi di Trump la situazione è tutt’altro che favorevole.
I vini francesi e spagnoli non sono certo da ignorare, sotto il profilo qualitativo, ma è evidente che i produttori hanno promosso le loro bottiglie anche in altri paesi, limitando così la dipendenza dagli umori americani. Sicuramente a stimolare l’export negli USA è stato l’alto gradimento del Made in Italy ma ora è fondamentale chiedersi dove vendere i vini del Bel Paese, se i dazi di Trump non saranno cancellati. Una risposta implica competenze tutt’altro che trascurabili e forse anche un briciolo di chiaroveggenza. Ma è di questi giorni una notizia che rappresenta un suggerimento interessante: il patron di Astoria Wines, Paolo Polegato, è stato premiato con l'Africa Premium Award per il suo impegno nell'integrazione culturale e sociale. Tra i meriti dell’imprenditore di Crocetta del Montello, non ci sono però solo la promozione dello sport, con la sponsorizzazione della nazionale di calcio del Togo e il coinvolgimento in svariate iniziative benefiche ma anche un significativo impegno nell’esportazione dei sui rinomati vini in Africa.
Stiamo parlando di un’azienda che ha un fatturato di 55 milioni di euro, che esporta il 40% dei suoi vini in ben 105 paesi in tutto il mondo. Interessante è il dato che riguarda l’Africa visto che gli stati in cui Astoria Wines esporta sono ben 20 (Nigeria, Costa d’Avorio, Kenya, Repubblica del Congo, Angola, Namibia, São Tomé, ecc.), con introiti pari al 10% del fatturato aziendale, come ha spiegato Filippo Polegato, l’Ad di Astoria Vini, in una recente intervista al Corriere della Sera annunciando che l’azienda conta di triplicare l’export in Africa, nei prossimi tre anni. Alla luce di questi numeri, forse è proprio il caso di guardare a questa realtà imprenditoriale come a una sorta di “nave scuola” contro i dazi di Trump. Ma soprattutto di rivalutare l’Africa sotto il profilo degli scambi commerciali, vista l’importante crescita economica di molte nazioni dove la stabilità politica ha incentivato lo sviluppo e un benessere più diffuso tra la popolazione. Detto questo meriterebbe una seria riflessione anche la tendenza, soprattutto veneta, alla monocoltura del vino (nello specifico del Prosecco) che negli ultimi anni ha radicalmente trasformato il paesaggio, innescando anche conflitti sociali tutt’altro che marginali, dove le produzioni non sono biologiche.
FOTO: iconico cartellone pubblicitario di un Festival in Africa dedicato ai prodotti enologici.
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