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14 dicembre 2024

Vittorio Veneto

Da Carpesica all’Atlantico. A piedi.

Il cammino? E’ anche aprirsi alla possibilità di cambiare. Parole (ed emozioni) di Marco Pizzol. Che ha lasciato lavoro, quotidianità, e paesaggi noti – il profilo verdissimo della sua Carpesica – per scoprire passo dopo passo cosa c’è oltre

| Emanuela Da Ros |

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| Emanuela Da Ros |

marco pizzol

VITTORIO VENETO - La gioia si può provare di riflesso. Magari si percepisce diluita o composta in quella che definiamo serenità, ma fa bene lo stesso. La gioia di riflesso è solo una delle sensazioni che ho provato ascoltando le risposte di Marco Pizzol. Ventinove anni, residente a Vittorio Veneto, Marco ha lavorato per dieci anni come fresatore in un’azienda metalmeccanica. Il fatto di operare ogni giorno in uno spazio chiuso ha fatto accrescere in lui il desiderio di immergersi nella natura – le colline, le Dolomiti, i sentieri nel verde - appena possibile.

 

Finché “quell’appena possibile” non gli è bastato più: Marco ha deciso di licenziarsi per…camminare, “per essere più libero anche mentalmente, e non avere limiti di tempo”. Quattro mesi fa, con uno zaino di 16 chili, è partito a piedi da Carpesica, dove vive, per raggiungere l’Atlantico a Finisterre: 3.000 chilometri di scarpinata (con tanto di vesciche “inaugurali”) per compiere in solitaria (o quasi) un’esperienza straordinaria. Per lasciare – dice – “che le paure (l’ignoto?, la solitudine?, la nostalgia degli affetti familiari?) si affievolissero e se ne restassero intrappolate dietro la porta di casa...”. A Possagno, sul bordo della strada, ha raccolto un bastone: il suo compagno di viaggio. L’ha portato con sé nel cammino, finché…

 

Marco, perché questo lungo cammino?

Ti rispondo con un'altra domanda...Perché no? Ogni persona che ho conosciuto sul cammino aveva una motivazione diversa per essere li ma tanti come me non ne avevano una in particolare. Il cammino di Santiago è sempre stato il mio sogno nel cassetto e un paio di anni fa per una serie di coincidenze mi sono ritrovato a ripensare intensamente a questo mio desiderio di partire. Ci ho riflettuto davvero tanto, forse troppo, ma poi ho deciso di licenziarmi per non avere limiti di tempo e per sentirmi più libero mentalmente. E’ stata la scelta migliore.

 

Sei partito da Carpesica e sei arrivato all’Atlantico, a Finisterre: quanti chilometri hai percorso? In quanti giorni?

Una volta deciso di lasciare il lavoro, grazie a un libro regalatomi da un'amica tempo fa, ho iniziato a pensare: “Perché non provare partendo da casa mia? Dev'essere qualcosa di speciale”. Lo è stato. Quindi sono partito da Carpesica e sono arrivato fino a Finisterre sull’oceano Atlantico. Ho camminato per circa 3000km in 112 giorni, attraversando Alpi e Pirenei.

 

Come ti sei preparato?

A me piace molto andare in montagna, e mi ritengo abbastanza allenato, quindi a livello fisico non ho dovuto prepararmi. Diverso è stato approntare il percorso. Mi sono informato su vari siti e blog di persone che avevano già fatto quest’esperienza, ho preso un po' di pezzi da una parte e un po' dall'altra e infine ho creato il mio percorso a grandi linee. Non avevo intenzione di pianificare tutto, semplicemente avevo bisogno di una linea guida da seguire, ma sapevo che avrei potuto tranquillamente variare qualche tratto del percorso lungo la strada.

 

Cos’hai portato con te?

Con me c'è sempre stato il mio inseparabile compagno, il mio zaino da circa 16kg. Dentro avevo tutto quello di cui avevo bisogno; tenda, sacco a pelo, fornellino, 2 cambi degli indumenti estivi, una felpa per le giornate più fredde e un po' di tutte quelle piccole cose che si usano ogni volta che si va a fare un’escursione. Altro compagno che è rimasto con me per tutto il tempo, dal secondo giorno in po,i è stato il mio bastone, recuperato a bordo strada da un mucchio di legna vicino a Possagno. Si è letteralmente consumato strada facendo ma mi è sempre stato utile lungo il cammino. Ora un po' lo invidio perché gli ho trovato un gran bel posto tra gli scogli vicino al faro di Finisterre e ogni sera può gustarsi il tramonto sull'oceano.

 

Quali aspettative avevi?

Qualcuno (o qualcosa) ti ha frenato…alla partenza? C'è una cosa che ho imparato durante i miei cammini precedenti e che si è riconfermata anche in questo e non è facile perché secondo me nella società in cui viviamo siamo abituati al contrario, ma la cosa migliore è partire senza avere aspettative. Se non ne hai niente ti può deludere e ogni giorno diventa una sorpresa. La cosa che più di tutte mi ha frenato alla partenza è il legame che ho con la mia famiglia e i miei amici ma ho trovato il modo di non far troppo sentire loro la distanza.

 

Le emozioni più belle?

Ci sono stati tanti momenti in cui le emozioni sono state davvero intense e inaspettate. Quando mi sono ritrovato di fronte alle Alpi, i primi chilometri in Francia, le notti in tenda - sfinito dopo lunghe giornate sotto il sole -, l'arrivo a Lourdes, il passaggio sotto la porta di San Giacomo a Saint-Jean-Pied-de-Port, gli incontri con persone incredibili lungo tutto il cammino, i legami che si sono creati con alcune di esse, le Mesetas, l'arrivo a Santiago prima e poi quello sull'oceano a Finisterre. Diciamo che i fazzoletti non erano mai abbastanza nello zaino...

 

Gli ostacoli incontrati?

L'ostacolo più grande l'ho trovato all'inizio e sono state le vesciche ai piedi. Solitamente non ho questo problema ma questa volta mi hanno massacrato per le prime due settimane. Tolti i primi 15 giorni poi non ho avuto grossi intoppi a livello fisico, ho sempre cercato di ascoltare il mio corpo e di non chiedergli troppo. Ho avuto un po' di difficoltà il primo periodo in Francia con la lingua, perché l'inglese è sempre stata la materia che odiavo di più a scuola e non l'ho mai imparato. Poi però un po' alla volta la situazione è migliorata e arrivato in Spagna, incredibilmente, parlavo in inglese con tutti. Uno degli ostacoli che pensavo più grandi prima della partenza era la solitudine ma in realtà non mi è mai pesata, ho imparato a star bene con me stesso e ringrazio il cammino per questo.

 

Paure? Paura di non arrivare alla meta?

Sì, ovviamente la paura più grande era quella di non farcela... I primi giorni ho avuto un momento di crisi, ho iniziato a chiedermi se quello che stessi facendo fosse una cosa più grande di me, ho tenuto duro e non appena i piedi si sono sistemati è andata subito meglio. Poi in realtà mentre sei immerso in un’esperienza del genere tutte le paure si affievoliscono, ce ne sono tante prima di partire ma poi è come se restassero intrappolate dietro la porta di casa...

 

Paesaggi rurali, antropizzati (su Instagram, dove hai tenuto un diario di viaggio – West Destination Project - hai scritto che faticavi a uscire da Milano…): quali ti hanno colpito di più?

Ne ho viste di tutti i colori, dal grigio delle città, al verde dei boschi e delle montagne, al viola dei campi di lavanda in Provenza, al giallo delle distese di girasoli vicino a Tolosa e delle campagne spagnole bruciate dal sole fino ad arrivare al blu intenso dell'oceano. Le grandi città non mi sono mai piaciute, ma ne ho attraversate diverse, Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo, Milano (la più ostile per i pedoni dal mio punto di vista, nella periferia l'ho trovata parecchio pericolosa), Novara, Torino, Arles, Montpellier, Tolosa, Pamplona, Burgos, León e infine Santiago. La natura però è stata la protagonista lungo tutto il viaggio. Ho visto paesaggi spettacolari: le zone che più mi sono rimaste nel cuore sicuramente sono la parte francese delle Alpi, i boschi e le colline piene di girasoli tra Arles e Tolosa, il nulla delle Mesetas in cui dentro però c'era tutto tra Burgos e León, e l'oceano... Arrivare lì davanti dopo quasi quattro mesi di cammino è stata un’emozione indescrivibile.

 

Le persone incontrate: che impressione ti hanno fatto? In generale sei fiducioso nei confronti degli altri?

Il cammino ha acuito la tua fiducia? Per i primi due mesi ho camminato quasi sempre da solo, salvo qualche incontro con qualche raro camminatore per un paio di giorni in Francia. In Italia ho ritrovato diversi amici camminatori e non che non vedevo da tempo, e che quando hanno saputo della mia iniziativa si sono offerti di ospitarmi a casa loro per la notte. Poi ho avuto modo di condividere qualche bel momento con gli abitanti dei paesi che ho attraversato: affascinati dal mio racconto in tanti mi hanno accolto invitandomi a pranzo o a cena con loro, qualcuno in Francia mi ha anche ospitato in casa per la notte. Da Lourdes in poi ho conosciuto davvero tante persone, è stata un’esperienza fantastica. In Spagna c'era il mondo e la cosa speciale è stata condividere e mescolare culture e mentalità con gente di paesi più o meno lontani dal nostro. Di sicuro un’esperienza di questo tipo ti fa capire che siamo tutti diversi ma in un certo modo anche tutti uguali, e che quando ti apri agli altri in fondo anche loro hanno bisogno di aprirsi con qualcuno. Il cammino da un lato ti spoglia e ti rende vulnerabile ma allo stesso tempo ti dà un gran senso di sicurezza e così si riesce a parlare con tutti senza filtri e maschere. Per questo diventa molto più facile e veloce creare dei legami molto forti con gente che si conosce da appena qualche giorno. A differenza di quello che sempre più siamo portati a pensare guardando i telegiornali ho incontrato solo brave persone.

 

Com’è stato tornare a casa? A proposito: come sei tornato indietro?

Sono tornato in aereo, davvero troppo veloce, non mi ha lasciato il tempo di metabolizzare il fatto che stessi rientrando.Tornare a casa è stato un po' uno shock, i primi giorni mi sembrava di essere in un altro pianeta, il corpo era qui ma la testa era ancora lì davanti a quel tramonto a Finisterre. Un po' alla volta sto riprendendo i ritmi "normali" della vita prima di partire ma non credo riuscirò a tornare a essere quello che ero: in questo momento sento che il mio modo di pensare è cambiato e cercherò di non ricadere nella quotidianità a cui ormai mi ero abituato gli ultimi anni. A chi consiglieresti quest’esperienza? Secondo me un viaggio di questo genere è un’esperienza che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita. Sono consapevole di essere stato molto fortunato a potermi permettere di stare via di casa per così tanto tempo ma credo che se fatto con lo spirito giusto possa bastare anche un periodo più corto. Sul cammino ho trovato bambini di 8/10 anni con i loro genitori, vecchi camminatori con più di 80 anni, persone con disabilità o con malattie molto gravi. Non c'è età o condizione fisica che regga, con un po' di preparazione quasi tutti possono affrontare qualche giorno di cammino.

 

Prossimi progetti?

Sono tornato da poco e al momento ho una gran confusione in testa. Sicuramente questo non sarà l'ultimo cammino, ne seguiranno molti altri. Ora però una cosa che mi piacerebbe fare sarebbe quella di riuscire a far avvicinare ai cammini tutte quelle persone che non ne hanno mai affrontato uno, magari per paura o per mancanza di esperienza. In questi giorni sto iniziando a pensare a un modo per cercare di mettere a frutto questa mia esperienza e magari in un futuro spero non troppo lontano mi piacerebbe riuscire a portare con me sui cammini qualcuna di queste persone. Già il fatto di poter condividere il mio viaggio qui è una gran cosa per me. Mi piacerebbe far capire alle persone che leggono il Quindicinale che partire per qualche giorno di cammino, è sicuramente molto più faticoso che restare una settimana sul lettino in spiaggia, ma è soprattutto fare un'esperienza indimenticabile, conoscere un sacco di persone nuove, aprirsi alla possibilità di cambiare.

 


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