CREDITO ALLE IMPRESE IN CRISI SEMPRE PIÙ DIFFICILE
Se con il credito concesso, l’impresa continua la sua attività, ma aggrava il suo dissesto, l’istituto di credito deve ristorare il danno
| Claudio Bottos |
LAVORO - Numeri e sentenze stanno facendo emergere una situazione particolare per le imprese in crisi. Chiariamo subito che lo stato di crisi di una impresa è un fatto interno, nel senso che è l’imprenditore ad essere a conoscenza di uno squilibrio economico finanziario, mentre lo stato d’insolvenza è un fatto esterno perché appare ai terzi quando ad esempio non si pagano rate di mutui o finanziamenti, o contributi previdenziali o imposte. In questo caso agli occhi dei terzi l’impresa è insolvente perché dimostra di non essere più in grado di far fronte regolarmente ai suoi impegni.
Una importante sentenza della Corte di Cassazione, che potete leggere qui, dice in sintesi che gli istituti di credito devono valutare con estrema prudenza la concessione del credito ai soggetti in condizione di difficoltà economica. Se con il credito concesso, l’impresa continua la sua attività, ma aggrava il suo dissesto, l’istituto di credito deve ristorare il danno. Le banche, correndo così il rischio di commettere reato di concessione abusiva del credito, si vedono costrette, per ridurre questo rischio, a non concedere crediti alle aziende in precrisi o crisi. Appare evidente che questa situazione è destinata a portare diverse imprese verso la chiusura, con effetti che si ripercuotono sul sistema economico e sociale. Non è solo la sentenza della Corte di Cassazione che sta causando questi effetti. Norme sempre più stringenti, nazionali ed europee relative al credito, di cui ne avevo parlato in questo mio articolo e in quest’altro, hanno accentuato questo processo di prudenza da parte degli istituti di credito. ll problema di questo meccanismo rischia di portare le imprese in crisi a rivolgersi agli usurai, come denunciato in questo articolo della CGIA di Mestre. Si parla di circa 176.400 imprese di società non finanziarie e famiglie produttrici che sono state segnalate come insolventi dagli intermediari finanziari alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. La segnalazione che, per legge, non consente a queste imprese di accedere ad alcun prestito erogato dal canale finanziario legale rischia, molto più delle altre, di portarle alla chiusura o di farle scivolare tra le braccia degli usurai.
Dallo studio si può osservare la ripartizione territoriale dalla quale emerge che l’area più a rischio è il Sud dove si contano 57.992 aziende in sofferenza (pari al 32,9 per cento del totale), seguono il Centro con 44.854 imprese (25,4 per cento del totale), il Nordovest con 43.457 (24,6 per cento del totale) e infine il Nordest con 30.070 (17 per cento del totale). In Veneto le aziende affidate in sofferenza sono 12.234, pari al 6,9% del totale. La CGIA chiede un intervento al governo, perché potenzi il fondo di prevenzione dell’usura. Resta comunque il fatto che questa situazione assomiglia molto ad un cane che si morde la coda. Infatti, da una parte abbiamo gli istituti credito che non devono rischiare più di tanto per non aumentare gli ormai famosi NPL (Non Performig Loans), ossia i crediti deteriorati, che possono mettere a rischio la solidità delle banche stesse. Dall’altra parte abbiamo le imprese che, se portate alla chiusura, creano un danno sociale per riduzione dei posti di lavoro con successivo intervento da parte dello stato per erogare sussidi.
Nei prossimi mesi molti nodi verranno al pettine, sia per le numerose scadenze fiscali ordinarie e le rottamazioni sospese nel 2020 e nel 2021, sia per la fine delle moratorie e, tutto questo non farà che drenare, se presente, liquidità alle imprese. In un articolo del 23 settembre, il giornale Italia Oggi ha riportato che la scadenza delle rate della rottamazione delle cartelle del 2020 non è stata rispettata da 800.000 contribuenti su 1.800.000 quasi la metà delle imprese non è riuscita a far fronte ai propri impegni. Appare abbastanza evidente che una rigidità del sistema creditizio non può che far aumentare i fallimenti con le ripercussioni sul sistema economico e sociale che, per effetto di ritorno, si abbatterà sulle stesse banche. Staremo a vedere, non è semplice rompere questo circolo credito/imprese/banche ma, da buon ottimista rimango fiducioso.
di Claudio Bottos (Consulente del lavoro e di direzione strategica aziendale)