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28 marzo 2024

Oderzo Motta

Covid: il “modello cinese” sperimentato suo malgrado dal giornalista Filippo Santelli

Originario di Salgareda, una volta risultato positivo si è ritrovato in una sorta di container, con l’obbligo di terapie misconosicute

| Maria Elena Tonin |

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| Maria Elena Tonin |

Covid: il “modello cinese” sperimentato suo malgrado dal giornalista Filippo Santelli

SALGAREDA - Positivo ma asintomatico, conuna storia particolarmente sfortunata, tanto che lo coglie impreparato. Parte dall'Italia negativo, ma quando arriva in Cina, il tampone risulta positivo e scatta la quarantana. Il suo racconto lo condivide attraverso il giornale per cui scrive da 8 anni, Repubblica e i social. Lui è Filippo Santelli, classe 1984, originario di Salgareda, papà pneumologo, per cui qualcosa ne sa, dal 2018 corrispondente dalla Cina. Per repubbica, aveva raccontato a febbraio Wuhan. Quello che doveva essere un semplice ritorno al lavoro, si trasforma in un incubo e il suo racconto diventa un monito per chi si lamenta della quarantena in Italia.



"Il metodo di contenimento cinese funziona, ma bisogna capirlo" dice Santelli e probabilmente quanto ti tocca in prima persona non è così facile da accettare. "Vengono a prenderti e ti sbattono qua" continua Santelli. Non solo. Santelli esprime anche preoccupazione per il "trattamento sanitario obbligatorio": per il governo cinese, anche gli asintomatici devono curarsi e le medicine sono russe, sconosciute e dalle scritte incomprensibili, con ben poca certezza sul protocollo, dato che non sono approvate a livello internazionale. 



 



Il nome di Filippo Santelli non compare nella lista dei malati Covid "importati" che la Cina comunica ufficialmente ogni giorno al mondo, ma la sua positività lo obbliga al pacchetto completo, farmaci compresi. La comunicazione della positività arriva domenica sera, nell'albergo dove sta facendo la quanrantena. A differenza dell'italia dove è sufficente stare in isolamento fiduciario a casa propria, Santelli viene immediatamente trasferito in un ospedale Covid: la stanza è una specie di container, essenziale nell'arredamento, ma soprattutto con una porta che non si apre dall'interno e una finestra rigorosamente chiusa. Nessuna comunicazione, nessun contatto con il mondo che non si può nemmeno guardare dalla finestra, solo un foglio con la diagnosi e le indicazioni delle terapie e un QR We Chat, il social con cui si comunica con "l'ammalato". E una telecamera che controlla.



 



Una stanza che Filippo non esita a definire "cella". "Mi sento bene, non ho particolari sintomi" racconta Filippo "Cerco di darmi delle regole, avere una sorta di routine anche in un luogo così. Pero sono un pò scoraggiato. Il modello cinese ha funzionato, però bisogna esserci per capirlo."


 


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Maria Elena Tonin

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