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25 aprile 2024

Montebelluna

Cornuda e Crocetta sono diventate “casa” per chi è fuggito dalla guerra

Il presidente della Soms di Crocetta racconta un esempio virtuoso di accoglienza

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

Profughi ucraini a Cornuda

CORNUDA / CROCETTA DEL MONTELLO – Uno dei punti di forza delle nostre comunità è sicuramente il volontariato: quella parte sana della società che vede nel darsi con generosità un valore e una sorta di regola di vita. A Crocetta del Montello dal 1914 c’è la Società Operaia di Mutuo Soccorso “Lodovico Boschieri” che fa la sua parte per dare una mano a chi è in difficoltà. Di recente si è fatta promotrice anche di una scuola d’italiano, per i profughi ucraini, arrivati nell’area del Montebellunese.

Quest’ultima esperienza in particola non ha fornito solo un servizio prezioso ma anche un’occasione unica di vicinanza e amicizia tra genti e culture sfociata in un momento conviviale che ha davvero lasciato il segno nella comunità di Crocetta e di Cornuda che ha ospitato questo evento. Tiziano Biasi, presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso “Lodovico Boschieri”, ci ha raccontato, anche con qualche licenza letteraria, questo momento di grande empatia, organizzato con l'Associazione “Un Ponte verso…”.



Sogno di una notte di mezza estate
Mi è sembrato il titolo appropriato per raccontarvi una piccola storia. Può succedere di tutto in una notte di giugno e anche se il mio racconto nulla ha a che vedere con la commedia di William Shakespeare, lasciate lavorare la fantasia e fatevi trasportare nel mondo arcadico dell’antica Grecia.

La sera del 28 giugno nello spazio verde attorno all’oratorio di Cornuda si sono ritrovati i membri dell’Associazione “Un Ponte verso…”, coadiuvati dal gruppo che ha organizzato la scuola d’Italiano per le profughe ucraine nei locali della Soms Lodovico Boschieri di Crocetta. L’intento è stato quello di offrire agli stranieri (pronuncio questo termine con imbarazzo) un momento di amicizia. Sembra il giusto atteggiamento verso quelle persone che hanno dovuto lasciare a forza il loro paese a causa della guerra. E si sa che gli effetti dei conflitti vengono subiti dalla gente comune. Non c’erano solo ucraine con i loro bambini ma anche Siriani, da tempo integrati nel tessuto cornudese.

Cibo e musica sono gli ingredienti che rendono vivace un incontro. Gli assaggi della cucina orientale sono stati proposti dalla comunità ucraina mentre le note sonore sono state affidate a “I Barbapedana”, gruppo musicale che oltre a riproporre la musica tradizionale veneta si esibisce in canti popolari dell’est Europeo, compresa la musica zigana ed il “klezmer” ebraico. L’atmosfera è un po’ surreale, come quella evocata dalle note introduttive della versione musicale del “sogno” di Mendelssohn. Per noi il sogno di abolire ogni divisione tra i popoli, in un comune senso di fratellanza.

Dopo l’iniziale titubanza e brevi discorsi di benvenuto la festa ha avuto inizio, come pure la familiarizzazione fra le tante persone accorse e la musica ha espletato la sua funzione, quella di essere collante anche fra gente che parla lingue diverse. Anche il cielo ha voluto la sua parte, rilasciando peraltro il tanto auspicato acquazzone. La musica ha dovuto tacere e tutti i convenuti hanno trovato rifugio sotto il provvidenziale capannone. Il sentirsi al coperto e la sensazione di uno scampato pericolo hanno agevolato i piccoli assembramenti e ognuno si è sciolto nella narrazione delle proprie vicende. Ho avvicinato persone conosciute e anche no ma gli sguardi si incrociavano in una reciproca comprensione che va oltre il linguaggio delle parole. Che cosa dire di una signora che mi porge il suo cellulare facendomi vedere la sua interlocutrice amica rifugiata in Germania? Ho capito che la loro conversazione finiva con un “a presto rivederci”.

Il mio stupore è stato grande quando fui introdotto ad una coppia di ucraini, genitori di una giovane religiosa incontrata a Leopoli quindici anni or sono e successivamente trasferitasi a Roma per una laurea in pedagogia alla quale diedi sostegno al momento della tesi. La loro gioia, pur velata da quella tristezza che accompagna chi è lontano dalla propria terra, fu grande ed io mi sentii “parte” della loro famiglia. Poi saluti e sorrisi si esternavano nel crescendo del vociare.

Un gruppetto di bambini, emozionati, al via di un adulto, intonarono una canzone della tradizione ucraina. Fu la conclusione di questo ritrovo, seguita da applausi scroscianti e liberatori. Un giorno questi piccoli, rientrati nella loro terra, ricorderanno. Noi intanto siamo assaliti da un interrogativo: siamo, saremo, potremmo essere una grande famiglia? Finché dura il sogno! Poi c’è la speranza.

di Tiziano Biasi



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