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28 marzo 2024

Conegliano

Conegliano, il terribile incidente, il calvario e la rinascita di Paolo: "Ricordatevi di non mollare mai"

Paolo Tonon sta vivendo una seconda vita

| Roberto Silvestrin |

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| Roberto Silvestrin |

paolo tonon orsago

ORSAGO/CONEGLIANO - Paolo Tonon sta vivendo una seconda vita. La sua esistenza è stata divisa in due dal tremendo incidente che ha rivoluzionato tutto il suo mondo. Era il 17 maggio del 2009, lui e due suoi amici stavano tornando in macchina dal Muretto di Jesolo. Quella notte il destino ha deciso di accanirsi contro di lui e ha picchiato duro, una volta per tutte. Nella sua mente ci sono ancora alcune tracce di quei terribili momenti.

 

“Io ero seduto dietro, stavo dormendo – racconta il 34enne -. Siamo usciti di strada e ci siamo rovesciati. Ho qualche flash di quando ero dentro l’auto, perché i ragazzi cercavano di tranquillizzarmi. Poi ricordo l’arrivo di mia mamma: le dicevo che non sentivo più le gambe e lei cercava di rincuorarmi. Mi sono rimaste solo queste due immagini di quel frangente”. Poi Paolo si è svegliato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Mestre. La diagnosi è tremenda: lesione spinale a livello cervicale. All’epoca Paolo aveva solo 20 anni. “Ho perso l’uso delle gambe e ho un deficit dell’uso delle mani – spiega -. Riesco a muovere un po’ la gamba destra, ma sono costretto a vivere su una sedia a rotelle. Per fortuna riesco a guidare, è fondamentale per la mia libertà di movimento”. Il suo calvario è durato quasi un anno: ha passato due settimane all’ospedale di Mestre e un mese nell’unità spinale di Vicenza, poi ha trascorso circa 8 mesi all’ospedale di Udine. Paolo è uscito dal reparto a febbraio del 2010.

 

“Quando sono tornato a casa ho sofferto molto – aggiunge il 34enne orsaghese -. Avevo febbre e altri problemi. Mi sono ripreso totalmente dopo 4-5 anni. Anche mentalmente non è stato facile”. Paolo, grazie ad una grande forza di volontà, ha ripreso in mano la sua vita frantumata. La famiglia, gli amici, il lavoro e lo sport sono stati le sue ancore di salvezza. A luglio dell’anno scorso si è aggiudicato il titolo italiano outdoor di para-archery, e a gennaio ha vinto il campionato indoor a Faenza.

 

Come sono stati i primi tempi?

Molto difficili. Uscivo con i miei amici, ma non riuscivo a divertirmi. Loro però mi hanno aiutato tanto: a volte non avevo voglia di uscire di casa, ma loro venivano a prendermi lo stesso e mi davano una mano. Anche la mia famiglia mi ha sempre supportato, mia mamma Donatella mi ha trasmesso tanta forza. In ospedale, invece, i fisioterapisti hanno fatto un lavoro straordinario: eravamo una grande famiglia, e questo mi è servito molto.

 

Anche il lavoro ti ha aiutato, giusto?

Decisamente. Dopo l’incidente il mio titolare dell’epoca mi ha aspettato. Lo ringrazierò sempre per questo. Una volta mi ha addirittura accompagnato con il furgone a fare una visita. Il lavoro in generale è stato un toccasana. Non era scontato trovare un impiego dopo il ricovero e tutto il resto…

 

E lo sport?

È fondamentale. Non riuscirei a immaginare una vita senza allenamenti e gare. Ho giocato a ping-pong per un paio d’anni e ho provato il basket in carrozzina, poi nel 2017 ho iniziato a giocare a tennis. Dopo i primi allenamenti ero distrutto, ma mi sentivo libero.

 

Poi è arrivato il tiro con l’arco…

Ero a Cordenons per un torneo di tennis, e lì c’era una dimostrazione di para-archery. Ero curioso e volevo provare: mi hanno dato il numero di telefono di Ezio Luvisetto, l’allenatore degli Arcieri del Castello di Conegliano, e poco dopo ho iniziato.

 

Cosa ti manca di più?

La spensieratezza che avevo prima, una passeggiata al mare o in montagna. A volte basta poco per essere felici. Invece ora devo sempre programmare quello che faccio, perché alcuni posti sono inaccessibili.

 

Come hai fatto a superare tutto questo?

Ci vuole tanta forza di volontà. Bisogna accettare la sofferenza e cogliere qualcosa di buono dalle difficoltà.

 


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Roberto Silvestrin

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