Comuni trevigiani al collasso, i sindaci scrivono a premier Conte
La lettera contiene le 10 richieste a governo e parlamento sottoscritte dai primi cittadini della Marca per l’autonomia finanziaria degli enti locali
| Isabella Loschi |
TREVISO – Comuni al collasso, la piattaforma con le 10 richieste allo Stato dell’Associazione Comuni della Marca Trevigiana, firmata e sottoscritta dai primi cittadini della nostra provincia, è stata inviata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al Ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria, al Ministro degli Affari regionali Erika Stefani, al Ministro per i Rapporti con il Parlamento e la Democrazia diretta Riccardo Fraccaro, ai sottosegretari Massimo Bitonci e Massimo Garavaglia, al Prefetto di Treviso Maria Rosaria Laganà, ai parlamentari trevigiani, al Presidente della Regione Veneto Luca Zaia e al Presidente della provincia di Treviso Stefano Marcon.
I Comuni trevigiani chiedono la concreta attuazione del “federalismo dei costi standard”; la restituzione ai Comuni della “piena autonomia nel governo della leva fiscale”; l’aggiornamento del catasto in tutto il territorio nazionale (per avere basi imponibili realistiche); l’effettiva liberalizzazione degli avanzi di bilancio e la revisione di tutti quei “meccanismi bizantini” che impediscono l’utilizzo degli spazi finanziari pur in assenza di debito; la soppressione del sistema della Tesoreria Unica; la possibilità per i Comuni del ricorso all’indebitamento per investimenti di messa in sicurezza del proprio territorio; lo sblocco del turnover e la possibilità di nuove assunzioni su base concorsuale; una reale semplificazione legislativa per abbattere la “giungla normativa” vigente che ingessa l’azione amministrativa dei Comuni.
Ora la parola spetta al Governo e al Parlamento. Si sta discutendo la legge di bilancio e i sindaci trevigiani si aspettano provvedimenti concreti. Nella lettera i Comuni della Marca Trevigiana chiedono “risposta affinché essi possano conservare un minimo di operatività dopo gli anni della cosiddetta “spending review”, il famigerato taglio della spesa a invarianza dei servizi, che si è rivelato un ossimoro amministrativo involontariamente comico nella sua pretesa e disastroso negli effetti: la riduzione dei diritti dei cittadini ad avere strade sicure, edifici scolastici a norma sismica, sostegno sociale negli anni della crisi e via elencando”.
“Rifinanziare gli enti locali avrebbe due implicazioni positive – spiega la presidente Mariarosa Barazza -: investire in sicurezza su strade, ambiente e scuole, creare posti di lavoro reali e mettere le ditte che lavorano per il pubblico nelle condizioni di assumere. Ci aspettiamo che vengano accolte anche le altre richieste, tutte essenziali per la sopravvivenza dei nostri enti, in particolare la possibilità per i Comuni di assumere personale. Desideriamo vedere, a monte, un cambio di mentalità con il riconoscimento del ruolo dei Comuni nella nostra Repubblica. I Comuni pre-esistono allo Stato italiano: va maturata la consapevolezza in chi ci governa, tanto a Roma quanto a Venezia, che accogliendo le richieste dei comuni si danno risposte ai cittadini e che quindi il tema del ridare loro operatività va messo nelle priorità politiche del Paese”.
“Nei sei anni che vanno dal 2011 al 2017, lo Stato con i tagli ai Comuni ha risparmiato soli 9 miliardi di euro, cioè una media di un miliardo e mezzo all’anno. Ne valeva la pena? – si chiede il sindaco di Montebelluna Marzio Favero, referente del Gruppo Finanza Locale dell’Associazione -. È evidente che la riattivazione dei trasferimenti ai Comuni, meglio se alla luce della spesa standard rispetto a quella storica, come stabilito dalla non attuata legge 42/2009, non sconvolgerebbe l’impianto della finanziaria e, anzi, la migliorerebbe proprio nelle misure rivolte alla crescita sollecitate dall’Europa, poiché gli enti locali potrebbero tornare alla spesa d’investimento per strutture e infrastrutture, contribuendo così a rimettere in moto il comparto delle costruzioni, che è quello che maggiormente ha sofferto negli anni della stagnazione”.
Cosa si aspettano i sindaci trevigiani da questo Governo?
“Si aspettano per prima cosa una grande sensibilità sul tema dell’autonomia in generale e comunale in particolare – risponde il sindaco di Codognè Roberto Bet -. I Comuni da anni subiscono provvedimenti economico-finanziari che vanno in direzione opposta a quella dell’autonomia. È stato fatto un primo passo con l’inserimento nella legge di bilancio dello sblocco delle tariffe e delle aliquote, ma è ancora un piccolo avanzamento rispetto alle modifiche necessarie per dare autonomia finanziaria ai Comuni: i soldi devono restare ai cittadini sul territorio in modo che ci sia maggior controllo sulle decisioni di spesa e maggiore responsabilità da parte di chi, come noi amministratori locali, ha l’onere delle decisioni di spesa”.
“In questa fase di interlocuzione con l’Europa, il Governo deve capire che i Comuni sono quel livello istituzionale-amministrativo che può dare la spinta in avanti più forte al Paese per evitare che finisca in recessione e, al contrario, incentivare la crescita - ragiona Pieranna Zottarelli, sindaca di Roncade - . Le necessità dei Comuni sono a supporto delle imprese e quindi a favore della crescita. I soldi che noi chiediamo indietro sono già dei Comuni, perché è con i nostri soldi che alimentiamo il Fondo di Solidarietà. E sono risorse destinate a migliorare le infrastrutture, a cominciare da quelle stradali, e dunque a far ripartire gli investimenti, che sono crollati”.