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28 marzo 2024

Vittorio Veneto

Chi ha paura del “Made in?”

Roberto Bottoli, Consigliere Unindustria Treviso, accusa l’Italia. Ma anche la Germania

| Emanuela Da Ros |

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| Emanuela Da Ros |

VITTORIO VENETO – “L’Italia sta perdendo 80 mila posti di lavoro all’anno nel settore manifatturiero nonché la possibilità di ripresa e crescita graduale”. Le parole, anzi: l’accusa, sono di Roberto Bottoli (in foto), leader del settore lanificio a Vittorio Veneto, ma anche vicepresidente regionale del Sistema Moda di Unindustria a livello regionale.

Roberto Bottoli, in un articolato intervento, accusa la Germania di sottrarsi all’approvazione della legge comunitaria sul “Made in”, cioè sulla tracciabilità dei prodotti tramite etichettatura con il nome del Paese d’origine. Ma accusa soprattutto l’Italia, spiegando che “nel nostro paese una certa fascia di imprese fa un uso “di comodo” (e spesso ai limiti della legalità) delle normative doganali comunitarie facendo passare per Made in Italy prodotti che invece hanno goduto di molteplici lavorazioni dell’estero; il tutto a danno di chi produce realmente in Italia e della nostra reputazione sui mercati internazionali che, specialmente in Oriente, amano e richiedono l’autentico“fabbricato in Italia”.

 

Bottoli, che succede sul fronte del Made in?

Non è tanto la forza tedesca bensì la debolezza italiana, evidenziatasi anche nella trattativa senza esiti di questi giorni, a fare la differenza! Il Governo, che aveva sbandierato le opportunità del Semestre di presidenza Italiana a Bruxelles, si è invece invischiato su troppi fronti di vertenze a Roma; ha perso tre mesi e l’impegno sul “Made in” non è stato commisurato all’importanza del problema. Intanto si è aperto un nuovo fronte di concorrenza sleale che sta distruggendo le aziende manifatturiere oneste.

A chi si riferisce?

Si tratta dei laboratori cinesi clandestini o dei laboratori con prestanome italiano ma gestiti con modalità cinesi (cottimi schiavisti) ed ampia evasione di contributi. Una piaga che non è stata curata subito e ora sta diffondendosi a scapito dell’occupazione italiana. Certo è che finché l’Italia continuerà ad aumentare il proprio debito pubblico senza riuscire a razionalizzare le spese dello Stato non riuscirà a realizzare quella riduzione (promessa ma ad oggi fittizia) della tassazione su imprese, costo del lavoro e consumatori che, unita alla semplificazione burocratica, è indispensabile a ridare competitività al sistema produttivo italiano e conseguentemente all’occupazione; resterà quindi un paese debole succube del blocco tedesco e facile preda di una concorrenza sleale estera ma anche interna.

Che cosa vuol dire, tecnicamente, Made in?

“Made in” è il sunto del regolamento comunitario che imporrebbe l’obbligo di tracciabilità dei prodotti che entrano nella Comunità Europea da Paesi Terzi. L’Italia lo chiede da anni trovando sempre opposizioni fino a che mesi orsono il Parlamento Europeo lo approvò. Purtroppo manca ancora l’approvazione dell’ultimo organo decisionale: la Commissione Europea.

Aleggiava la speranza che nel corso del semestre italiano di presidenza della CE finalmente il regolamento fosse approvato; invece no, è stato ancora una volta accantonato.

tabilire la tracciabilità dei prodotti provenienti dai paesi extra Cee significherebbe valorizzare le produzioni europee e l’Italia, che da sola rappresenta il 40% del manifatturiero europeo , sarebbe la prima a beneficiarne.

E’ da notare che in ben 13 Paesi della Comunità Europea (BG, CY, CZ, EE, FI, GR, HU, LV, LT, PL, RO, ES, HU) è vigente una legge normale che impone l’obbligatorietà del marchio d’origine; l’Italia non può goderne. Allora: chi ha paura del “Made in”? E’ scontata la risposta: è la Germania, i paesi satelliti ed i paesi nordici con vocazione commerciale e non manifatturiera (come l’Italia). Con l’obbligo della tracciabilità questi paesi vedrebbero i lori consumatori più attenti negli acquisti e non attratti da prodotti a basso costo ma provenienti da Paesi di dubbia serietà; questo avrebbe ripercussioni negative sugli utili realizzati dalle grandi compagnie commerciali.

 

Ma la Germania che in certi settori è anche un paese manifatturiero perché è così contraria? E ancor più perché è così influente e determinante nelle decisioni di Bruxelles?

Premettiamo che la Germania è attenta a non inimicarsi, con l’approvazione dell’etichettatura di origine, la Cina suo grande sbocco commerciale. La Germania gode di una altissima reputazione nel settore elettromeccanico; il Made in Germany è considerato dai consumatori una garanzia e ciò permette buoni margini, occupazione ed il surplus commerciale tedesco. Se nel futuro il “Made in” fosse applicato anche a tale settore si evidenzierebbe che larga parte dell’ attuale Made in Germany deriva da produzioni in Paesi dell’Est; ne deriverebbe un sensibile deprezzamento dell’immagine.

Ma la responsabile dello stallo non è tanto la forza tedesca bensì la debolezza italiana, evidenziatasi anche nella trattativa senza esiti di questi giorni, a fare la differenza.

 



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