Amazzonia: è cambiato davvero qualcosa da quando c’è Lula al governo?
Il Presidente brasiliano si è fortemente impegnato per la tutela dell’ambiente. Cala il fenomeno della deforestazione ma sorgono nuove tensioni su altri temi ambientali
| Nausica Dal Cin |
L’Amazzonia è da sempre definito “Il polmone della terra”. È infatti la più grande foresta pluviale al mondo, un ecosistema ricco di biodiversità che ha ruoli importantissimi per il nostro pianeta per quel che riguarda la rimozione di anidride carbonica e il rilascio del vapore acqueo, determinante per la quantità di piogge.
A minacciarla è però il fenomeno della deforestazione, che avviene soprattutto per ragioni di sfruttamento economico e per usare il terreno per l’agricoltura o l’allevamento. Il fenomeno era aumentato durante la presidenza di Bolsonaro, dal 2019 al 2022, ma ora, col governo di sinistra di Lula, le cose sembrano migliorare. L’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (Inpe) riporta infatti che la deforestazione è scesa del 66% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, interessando un’area di 500 chilometri quadrati. A giugno Lula aveva anche annunciato di voler interrompere la deforestazione entro il 2030.
L’8 e 9 agosto intanto ci sarà un summit a Belém (Brasile) che riunirà gli otto leader dell’organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica (Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela) ma anche i capi di stato e di governo della Repubblica del Congo, della Repubblica democratica del Congo e dell’Indonesia. Il presidente brasiliano, a proposito, afferma: “Ci prenderemo cura del nostro pianeta. E chi non crede che le cose si stiano mettendo male, basta che guardi quello che sta accadendo nel mondo".
Nel suo governo però permangono forti tensioni sulle questioni ambientali. Il 30 aprile scorso infatti, la Camera dei Deputati brasiliana aveva votato il “marco temporal”, una legge che tutela gli interessi dell’industria agroalimentare che, se approvata anche al Senato, introdurrebbe modifiche nel sistema di delimitazione delle terre delle popolazioni indigene, privandoli dei loro territori così da utilizzarli per l’industria agricola e l’estrazione mineraria. A opporsi subito è stata la Ministra dell’ambiente Marina Silva e quella dei popoli indigeni Sonia Guajajara, che hanno giudicato la legge come ingiusta e inaccettabile, un vero e proprio attacco all’ambiente e ai popoli indigeni.
Altra tensione è quella sorta in merito alla possibilità di avviare lo sfruttamento petrolifero della foce del Rio delle Amazzoni. Lula non esclude che possa avvenire e a proposito ha dichiarato: “Se il petrolio viene estratto alla foce dell'Amazzonia, che si trova a 530 chilometri di distanza, in alto mare e se lo sfruttamento di quel petrolio rappresenta un problema per l'Amazzonia, sicuramente non sarà sfruttato. Ma mi sembra difficile, perché si trova a 530 chilometri dall'Amazzonia”. Tuttavia ha anche affermato che per ora: "E' un'ipotesi che stiamo studiando, penso che sia una decisione molto importante che lo Stato brasiliano deve prendere, ma non possiamo smettere di investigare il modo di poter esplorare e di evitare un disastro ecologico”. A schierarsi contro la proposta sono stati il presidente dell'Istituto brasiliano per le risorse naturali rinnovabili e ambientali (IBAMA) Rodrigo Agostinho, il Coordinamento delle organizzazioni Indigene dell'Amazzonia brasiliana (Coiab) e l'Articolazione dei popoli Indigeni del Brasile (Apib).
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