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28 marzo 2024

Castelfranco

Addio al "prà da acqua", arrivano i vigneti: distrutto l’ecosistema della Valcavasia

La gente del posto non si dà pace per i continui interventi che fanno scempio del territorio

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

Addio al

CAVASO DEL TOMBA – Quanti hanno percorso la Valcavasia nei primi anni della realizzazione delle strada che unisce Pederobba a Possagno, sanno bene quale patrimonio naturale custodiva questo luogo della Pedemontana del Grappa, all’epoca ancora incontaminato. Non era raro imbattersi in branchi di caprioli che pascolavano nei prati e che al passaggio delle auto fuggivano spaventati da questa nuova ed invasiva presenza. La strada ha però portato con sé non solo le auto ma anche nuove edificazioni, trasformazioni del suolo e coltivazioni intensive.

Di questi giorni l’ultimo sfregio a un luogo sempre più compromesso: “Negli ultimi anni ho provato molta amarezza nel vedere la progressiva distruzione del prezioso ecosistema naturale della Valcavasia – racconta un residente della zona -, con la sua alternanza tra prati stabili/umidi e boschetti o siepi, da parte di un'agricoltura intensiva, inquinante e del tutto incurante delle specificità climatiche e paesaggistiche della zona. Per evitare di sentire il tanfo penetrante dei pesticidi e di vedere questi disastri ecologici che spuntano come funghi ho iniziato ad evitare le zone soggette al fenomeno”.

Ma di recente una scoperta desolante: “Ebbene, stasera sono rimasto sconvolto nel vedere che qualcuno ha avuto il coraggio di devastare un "prà da acqua" (prato marcitoio) di quel fondovalle per piantare l'ennesimo vigneto. Veramente non so cosa dire, ormai non riesco neanche più ad arrabbiarmi sentendo una profonda rassegnazione davanti ad una piaga ambientale contro cui non resta più nulla da fare per quanto è inarrestabile e avulsa da qualsiasi controllo o limitazione da parte della legge”.

Nel sito della Regione Veneto la definizione di cos’è un "prà da acqua", di quale sia la sua rilevanza e di quanto la sua perdita rappresenti il depauperamento di un ambiente che ha anche una valenza culturale: “Le marcite o "prà da acqua" un tempo venivano utilizzate per la produzione del foraggio. Durante l'inverno i terreni prativi, tenuti costantemente sotto un velo d'acqua corrente che impediva il raffreddamento e consentiva la crescita del rivestimento erboso nonostante la bassa temperatura dell'aria, si mantenevano verdi e producevano un'erba che veniva falciata più volte durante la stagione fredda”.

Prosegue quindi: “Questo sistema irriguo-colturale, in cui l'acqua non nuoce alla vegetazione poiché rinnovandosi di continuo fornisce alle radici l'ossigeno di cui hanno bisogno, è da ritenersi economicamente superato. Veniva praticato solo in di alcune zone della Pianura Padana, dove le speciali combinazioni di clima, terreno e qualità dell'acqua difficilmente si verificavano altrove. Oggi le marcite rappresentano una parte della nostra storia e la memoria di un'antica tradizione legata all'uso sapiente dell'acqua da parte dei nostri antenati, ritenuta meritevole di interesse e di interventi di recupero”.

Foto: Stefania Serena

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