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29 marzo 2024

Conegliano

“Come Peter Pan cantiamo il senso di libertà”: la band i Frammenti si racconta tra progetti futuri e un nuovo video dalle atmosfere oniriche

Esce oggi “Punto di Fuga”, il nuovissimo video musicale dei Frammenti

| Clara Milanese |

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| Clara Milanese |

Frammenti

CONEGLIANO – In uscita oggi Punto di Fuga, il nuovissimo video tratto dall’ultimo inedito della band locale Frammenti.

Filosofici, poetici e incatalogabili: “Frammenti sono pezzi, parti staccate di un qualcosa che ha un senso solo se considerato nel suo insieme. Quattro dimensioni da unire l’una all’altra, cocci che si ricongiungono per dare vita a qualcosa di nuovo, un intreccio unico di linee imperfette e casuali. Cicatrici come bellezza”, si definiscono loro.

Come i più eclettici artisti del panorama musicale e letterario, anche i Frammenti si presentano al pubblico ognuno con uno pseudonimo: Alex Michielin è Flebokid, Francesco Da Ros è Francescodaros, Antonio Cettolin è Gintoni e Mauro Serafin è Serafino.

Suonano insieme da ormai quattro anni ma nella loro mente, mi dicono, sono attivi fin dalla nascita. Gintoni e Flebokid si sono conosciuti a scuola, quando una giornata di autonomia culturale li ha portati a suonare insieme. Da lì le prime prove e poi la conoscenza di Serafino, introdotto da Flebokid nell’ensemble. Nel 2016 la chiusura del cerchio: Serafino conosce Francesco Da Ros in treno, le prime prove nel retrobottega di una gelateria, i primi esperimenti di registrazione ed eccoli qui, con un album all’attivo e un continuum di nuovi brani in uscita.

Il vostro nome è molto evocativo, simbolico… Da dove trae ispirazione?

“Come tutte le nostre decisioni più importanti, anche il nome è stato scelto durante una cena. L’ispirazione viene da una tesi di laurea in filosofia intitolata Frammenti di Specchio, una visione del mondo con cui concordavamo. L’idea è che la realtà sia scrutabile solo in piccole parti, come se avessimo uno specchio ridotto in pezzi e raccogliendo i cocci potessimo guardare un elemento del corpo per volta, i frammenti di specchio però sono taglienti e rischiano di ferirci le mani e provocarci del dolore quando ci riflettiamo. Penso poi che il rapporto tra di noi sia stata l’ispirazione più grande, siamo quattro persone con gusti e idee molto diverse, ci siamo uniti cercando semplicemente di formare qualcosa di più grande”.

Avete un sound che definirei particolare e ricercato, quasi un mix di generi… A chi si ispira la vostra musica e come la definireste? Vi etichettate con un genere in particolare?

“Definire il nostro genere è sempre stata una questione spinosa. In generale, credo che “catalogare” sia una priorità più dell’ascoltatore che del musicista, tuttavia col tempo ci siamo resi conto che rivolgersi ad un pubblico significa anche sapersi riconoscere, e di conseguenza la questione “genere” acquisisce la sua importanza, che lo si voglia o no. È sicuramente più semplice individuare le nostre influenze: artisti stranieri come Radiohead, Moderat, Bob moses, Ben howard. Nel panorama italiano apprezziamo molto Cosmo, Frah quintale, ma anche Subsonica, Fibra e Willie Peyote. Artisti che, secondo noi, hanno appunto la capacità di sperimentare e rimanere credibili anche a prescindere da discorsi di “genere”. Il sound della band è altro che il portato delle nostre quattro personalità: attinge al folk, all’elettronica ma anche al RnB, al Rap, e alla soul music; ciò che ne esce non è altro che un “indie alla nostra maniera” e tutto da scoprire”.

Di cosa parlano i vostri testi? Chi li scrive?

“La scrittura dei testi avviene in modo peculiare. Sembrerà impossibile, ma scriviamo ad otto mani (e otto orecchie, trattandosi di musica). Fortunatamente tutti abbiamo capacità da quel punto di vista. Il più attivo è sicuramente Gintoni, dalle sue parole parte un processo spesso di scomposizione e ricomposizione in cui tutti mettono del proprio. Così è avvenuto per tutti i brani pubblicati fino all’anno scorso, il nuovo album sta sperimentando una scrittura più tradizionale”.

Si potrebbe dire che l’argomento principale del vostro primo disco sia l’amore, un amore che dà l’idea di essere tormentato, forse addirittura lontano. Di cosa parlerà invece il nuovo album? C’è già nell’aria una data di rilascio?

“Si, ci sei andata vicina. Il primo album doveva raccontare le vicissitudini di un uomo incapace di raggiungere i propri obiettivi, tormentato come un’adolescente alla ricerca della verità. Innamorato non corrisposto in Armonia, tentato da relazioni incestuose in Tropico, incapace di comprendere la logica umana in Possibile e Corri. Come spesso accade, le ambizioni erano più alte dei nostri mezzi, così Istantanee è divenuto un album difficilmente comprensibile, in cui volevamo mettere tutto in ogni canzone e... lo abbiamo fatto. Due splendidi anni di lavoro, pieni di litigi e discussioni, cene e riappacificazioni. Il nuovo album? Il nuovo album credo avrà a che fare con qualcosa di più intimo, qualcosa di vicino ai sogni, prima che ce li rubino tutti. Per la data c’è un’idea, ma nulla di definitivo. Tutto dipende da quello che succederà nei prossimi mesi, sia a livello sociale sia al nostro progetto…”.

In che modo avete vissuto il lockdown? Come avete deciso di sfruttare il tempo a disposizione?

“Il lockdown è stata principalmente un’opportunità. Mi spiego: nella vita “normale” le giornate sono scandite da mille impegni e si finisce per dimenticarsi di dare il giusto peso a cose apparentemente banali, come il tempo passato con sé stessi o la pura noia. Con gli strumenti digitali è stato possibile lavorare a distanza mentre il resto del tempo è stato speso nel lavoro individuale, direi quasi alla ricerca di noi stessi musicalmente parlando. Una delle scoperte è stata il singolo Mi dicono cambia: pensato, composto e registrato in quarantena”.

“Mi dicono cambia”, suona infatti come un inno verso le piccole cose. Ciò che più colpisce sono proprio le immagini di “artistica quotidianità” che evoca nella testa di chi ascolta. È così? Come è nata questa piccola perla?

“È così. Mi dicono cambia è un inno alle piccole cose attraverso la metafora dell’amore perduto. È un invito a riflettere su se stessi e sul proprio passato, che spesso si ripresenta come un macigno, proprio perché si è agito senza pensare, dando per scontate cose che scontate non sono. Troppo spesso ci si dimentica che nelle cose semplici si trova tutto ciò che conta davvero, e quindi anche l’arte, quella vera”.

In uscita oggi il nuovissimo video di Punto di Fuga, brano uscito a inizio luglio. È stato prodotto in quarantena? Di cosa parla?

“Il brano uscito il 7 luglio si intitola Punto di Fuga ed è stato concepito durante la quarantena ma concretizzato in seguito, un processo di produzione tortuoso. Il testo deriva dall'esperienza del tradimento, vissuto come incubo da cui cercare una fuga. Immagini oniriche e distorsioni prospettiche diventano luoghi imprigionanti quanto la tradizionale e moralistica vita di provincia da cui i punti di fuga non sono molti. In sintesi il brano elogia lo svincolarsi da ogni cosa: come Peter Pan, cantiamo il senso di libertà che si prova quando si riparte costantemente da zero”.

Nel vostro repertorio ci sono anche diverse collaborazioni. Quanto è importante per voi la collaborazione tra artisti locali?

“Il nostro è un settore povero di risorse ma ricchissimo di potenziale. La provincia purtroppo complica alcune cose. In questi quattro anni di gavetta, abbiamo avuto modo di fare tanti errori e imparare di conseguenza. Una delle cose che abbiamo imparato è che solo facendo fronte comune con chi come noi si impegna per creare qualcosa di nuovo si può lavorare per il futuro della musica nel nostro territorio. Per questo da qualche anno, oltre alle collaborazioni, abbiamo messo in piedi un progetto chiamato Manifesta in cui diamo la possibilità di esibirsi agli artisti più originali della zona (musicisti, ma anche pittori e poeti), cercando di dare spazio a chi sceglie la fatica della musica inedita”.

Che rapporto avete con il vostro pubblico quando siete sul palco? Qual è la miglior esperienza live che avete avuto?

“Le nostre esperienze live sono sempre caratterizzate dall’immediatezza e dall’energia intrinseche nella musica elettronica: il nostro obiettivo è l’unione tra l’impostazione band e il dj set. Il risultato è un live set ricercato ed energico, che intrattenga e stimoli il pubblico. Cerchiamo di incuriosire praticando contemporaneamente ricerca sonora, dialoghi, ritmo continuo e serrato. Una delle più felici occasioni live l’abbiamo vissuta ad Oltreverde, nella bellissima cornice del Parco Gambrinus: lo spettacolo si è trasformato in una vera e propria festa, l’interazione con il pubblico è stata simbiotica, complice la vicinanza fisica e l’assenza di un vero e proprio palco, ispirazione Living theatre”.

Musicalmente parlando, dove vi vedete tra un paio d’anni? Avete un obiettivo o seguite il momento?

“Credo che senza grandi obiettivi non ci si possa aspettare grandi risultati, per questo ci vedremo sul palco di San Siro… scherziamo! Quando stavamo scrivendo Mi dicono cambia, ci muoveva un enorme desiderio di “svolta”. In questi quattro anni insieme, abbiamo costruito le fondamenta, e ora siamo convinti che sia giunto il momento di condividere la magia che si è creata tra di noi anche con il pubblico. Quello che cerchiamo non è il successo rapido, il contenuto virale, ma la condivisione di un percorso assieme a chi si può appassionare alla nostra musica. La creazione di qualcosa di genuino e duraturo, a prescindere dai grandi numeri che sono la priorità di molti “artisti-cometa”. Questo è il nostro grande sogno: suonare lungo la penisola, cantando a squarciagola la nostra musica con chiunque abbia voglia di unirsi a noi in questo straordinario viaggio”.

Perché ascoltarvi?

“Perché non farlo?”

 



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Clara Milanese

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